Scampia mai priorità per il governo nazionale: così l’Italia ha abbandonato il popolo delle Vele
La tragedia del 21 luglio con il crollo dei ballatoi della Vela celeste di Scampia che ha provocato fino ad ora 3 morti, e il conseguente sgombero di circa 800 abitanti, ha riacceso i riflettori su uno dei luoghi più fotografati, ripresi, mostrati, raccontati e spesso denigrati d'Italia: le Vele di Scampia. Dopo la tragedia, come è naturale che sia, si fa la corsa a trovare i responsabili, le domande sono semplici: Perché sono crollati i ballatoi in ferro? Perché gli abitanti delle Vele vivevano in case inagibili? Perché non è stata fatta la manutenzione? A questi quesiti corrispondono una serie di risposte che sono tutte nero su bianco, evidenziabili nei documenti ufficiali, nei dati e nei riscontri.
Tutte le risposte che però ci consegnano una situazione complessa. Ed è proprio questa complessità che i governi nazionali da 30 anni a questa parte si sono rifiutati di affrontare. Perché la concatenazione di circostanze che ha portato a questa tragedia ha molto a che fare con i fondi pubblici, le leggi nazionali, la burocrazia, i tagli dei finanziamenti ai Comuni. Una spaccato delle difficoltà strutturali del nostro paese, che lo rendono inadeguato ad affrontare non solo il dramma delle Vele, ma delle tante periferie del nostro paese.
Da Bassolino a Manfredi, cosa è stato fatto per Scampia
E' il 1997 quando a fronte della lotta del Comitato Vele, che riunisce gli abitanti del Lotto M dove sorgono appunto i mostri di cemento di edilizia popolare, vengono stanziati i primi fondi per l'abbattimento delle Vele. Già allora, con Antonio Bassolino sindaco di Napoli, le Vele vengono dichiarate inabitabili. Presenza di amianto, corrosione delle strutture in ferro, problemi ai ballatoi, infiltrazioni, problemi strutturali agli impianti idrici, già 30 anni anni fa portarono all'inizio del percorso di riqualificazione del territorio. Con Bassolino sindaco di Napoli, furono abbattute 3 Vele, furono costruiti gli alloggi sostitutivi di via Ghisleri e il primo lotto di via Labriola. Quella stagione vide il Comitato Vele, allora guidato dallo storico leader Vittorio Passeggio, arrivare fino al Presidente della Repubblica del tempo Oscar Luigi Scalfaro, per ottenere i primi fondi. La successiva amministrazione comunale, quella di Rosa Russo Iervolino, non riuscì ad abbattere altre Vele, ma in compenso portò a termine il completamento degli alloggi sostitutivi costruiti in via Gobetti ed il secondo lotto di via Labriola. I fondi stanziati precedentemente, grazie anche alla presidenza della Repubblica si esaurirono. Non ci furono altri interventi, se non la costanza degli abitanti a chiedere il rispetto del cronoprogramma.
Con l'amministrazione di Luigi De Magistris, si è arrivati al completamento del terzo lotto degli alloggi sostitutivi di via Labriola (oggi via Don Peppe Diana) e all'abbattimento della Vela verde nel 2020. Anche in questo caso si è ripartiti dalla lotta del Comitato Vele che riuscì a toccare la sensibilità di Laura Boldrini, nel 2016 presidente della Camera dei Deputati, ed i primi fondi del progetto Re-Start Scampia, che prevede il completamento dell'abbattimento di tutte le Vele tranne una, e la costruzione di nuovi alloggi sostitutivi, esercizi commerciali e spazi di socialità, ricevette un nuovo finanziamento. Ma anche quello non è stato sufficiente.
E così quando è arrivata l'amministrazione di Gaetano Manfredi ha dovuto nuovamente cercare i fondi per completare le opere. La giunta di centro sinistra ha ripresentato il progetto "Re-Start Scampia" sui fondi del PNRR, ottenendo un nuovo finanziamento per andare avanti con la riqualificazione. Perfino la piccola parentesi del governo di centro destra della Regione Campania, quello con Stefano Caldoro presidente, può dire di aver fatto qualcosa per Scampia, con i fondi necessari per completare la sede dell'università, inaugurata nel 2022.
Ma in questi 30 anni, mentre le persone uscivano dalle Vele per andare nei nuovi alloggi, che oggi sono tenuti in maniera dignitosissima come chiunque può vedere attraversando via Labriola e via Gobetti, mentre il Comitato continuava a lottare e i Sindaci facevano piccoli passi in avanti, non c'è mai stata una legge quadro su Scampia. Un intervento complessivo che mettesse al centro di almeno uno dei governi che si sono succeduti dagli anni '90 ad oggi, quella che è la periferia più raccontata e filmata d'Italia.
La manutenzione impossibile: 2,4 milioni all'anno per tutto il patrimonio
In questi giorni si è fatto riferimento a più riprese ai passaggi del progetto Re-Start Scampia presentato dal Comune di Napoli nel 2016. In quel progetto c'era scritto quello che persisteva già dal 1997 ed è facilmente riscontrabile nella documentazione del Comune di Napoli. I ballatoi sono pericolanti, le parti in ferro si staccano dal cemento, c'è rischio di incolumità. Così c'è scritto in quelle relazioni. Di certo però dobbiamo contestualizzarle per evitare strumentalizzazioni.
Quelle relazioni facevano parte di un progetto che chiedeva fondi al governo nazionale per abbattere le Vele, e prima ancora per costruire case nuove per gli abitanti. Difficile dunque che qualcuno avesse potuto scrivere che quelle strutture potessero essere sanate in qualche modo. Di certo c'è stato chi si è preso la responsabilità di lasciare in ogni caso gli abitanti nelle Vele rimaste in piedi, e se ci sono state responsabilità penali sarà la magistratura ad accertarlo.
Ma cosa si sarebbe dovuto fare? Il problema, nel 2016 come nel 2024, è che solo nella Vela celeste, quella attualmente sgomberata, ci vivono 800 persone. Come si sarebbero dovute sistemare 800 persone per un tempo indefinito, ovvero fino alla costruzione delle nuove case, garantendo sistemazioni dignitose per tutti? Un problema che non solo il Comune di Napoli, ma qualsiasi amministrazione comunale non riuscirebbe ad affrontare con risorse proprie.
È chiaro che per spostare migliaia di persone (gli abitanti rimanenti in tutte e 3 le Vele) c'è bisogno semplicemente di costruire nuove case. Ed è quello che dopo il 2016 è stato fatto, fino al blocco dei lavori che perdura dal 2020. Intanto certamente si sarebbe potuto fare un intervento di manutenzione straordinaria sulle Vele, per garantire l'incolumità degli abitanti.
Apostolos Paipais, l'ex presidente della Municipalità di Scampia, con un post sul suo profilo Facebook ha messo in fila una serie di numeri. L'ex presidente mostra i documenti prodotti sotto la sua gestione. Dal 2016 al 2021 sono stati chiesti 2000 interventi di manutenzione all'interno delle Vele. Ne sono stati realizzati solo 200 (il 10%). Paipais fa notare che la Napoli Servizi, l'azienda che gestisce il patrimonio immobiliare del Comune di Napoli, ha un fondo annuale per la manutenzione straordinaria e ordinaria pari a circa 2,4 milioni di euro.
Questo fondo andrebbe diviso, secondo i calcoli dell'ex presidente della Municipalità, per tutte le case di proprietà del Comune, tra le 32.000 e le 34.000. Il totale fa circa 75 euro a casa ogni anno per la manutenzione. La domanda, davanti a questi dati è: come può un Comune che ha 2,4 milioni di euro all'anno per la manutenzione dell'intero patrimonio assicurare interventi tempestivi e strutturali nelle sole Vele? Ricordandoci che parliamo di strutture dichiarate inabitabili già negli anni '90 e destinate all'abbattimento, quindi non recuperabili.
Il silenzio dei governi nazionali e l'assenza di una legge quadro
Alle domande semplici come stiamo vedendo corrispondono risposte documentate, ma che ci portano ad uno scenario complesso. Con i Comuni che progressivamente hanno ricevuto sempre meno soldi dai governi nazionali, le ultime due amministrazioni comunali come avrebbero potuto sistemare le migliaia di persone che ancora vivono nelle Vele in attesa delle nuove case? Con meno di 3 milioni l'anno per la manutenzione di tutto il patrimonio, come può un Comune da solo garantire la dignità delle abitazioni? E' difficile ritrovare in Italia un percorso amministrativo di rigenerazione urbana più grande e complesso di quello delle Vele di Scampia.
Parliamo di migliaia di persone a cui costruire una casa nuova e immensi palazzoni di cemento da abbattere. Eppure in 30 anni si è andati avanti con soluzioni provvisorie, seppure in continuità con il progetto di rigenerazione. Nessun governo ha mai fatto una legge quadro che garantisse a Scampia la continuità dei finanziamenti. Nessun governo ha previsto un meccanismo di facilitazione dei cantieri, per velocizzare gli aspetti burocratici e garantire tempi certi alla riqualificazione, magari con poteri commissariali come fatto ad esempio a Bagnoli.
Nessun governo ha inteso preoccuparsi di garantire un futuro dignitoso alla periferia più raccontata e filmata d'Italia. Con l'abbattimento della Vela verde a febbraio del 2020, si è subito delimitata l'area di cantiere per la costruzione dei nuovi alloggi. Ironia della sorte proprio gli abitanti della Vela celeste dovranno essere i primi ad essere trasferiti nelle nuove case, ma quel cantiere è fermo praticamente da sempre. Non c'è stata nemmeno la posa della prima pietra. La pandemia da Covid nel 2020 ha bloccato l'avvio dei lavori, ma dal 2021 in poi è stato un susseguirsi di intoppi.
Proprio recentemente l'amministrazione Manfredi aveva iniziato i lavori di manutenzione straordinaria della Vela Celeste, tanto che è visibile oggi la pulizia totale dei seminterrati e l'avvio dei lavori di rafforzamento dei parapetti dei piani bassi. Ma quel cantiere, che è stato finanziato con i fondi del PNRR è fermo, e fino a quando non ci saranno le nuove case non si potrà andare avanti con il processo di riqualificazione e quindi abbattere le Vele restanti.
Ad oggi il cantiere della vergogna, ben visibile da tutti proprio accanto alla Vela celeste, è il peggior fallimento del PNRR nel nostro Paese. La presidente Giorgia Meloni un anno fa, varò in pompa magna il cosiddetto "Decreto Caivano", Comune fortemente degradato in provincia di Napoli, un insieme di norme, anche controverse dal punto di vista della certezza del finanziamento, che è diventato il simbolo dell'intervento del governo Meloni sulle periferie. Ebbene proprio la presidente del consiglio è la grande assente della tragedia di Scampia.
Dopo il cordoglio dei primi giorni, non un intervento, non un'attenzione, non una presenza, nella periferia più raccontata e filmata d'Italia. "Dov'è lo Stato?" si chiedono gli abitanti della Vela celeste a favore di telecamera in questi giorni. E non è solo un riferimento all'incredibile assenza della Meloni e la totale mancanza di interventi del governo nazionale, ma è proprio la costatazione di una storia lunga 30 anni. Una storia di abbandono, in cui l'Italia non ha voluto vedere Scampia, anche se ce l'aveva sotto gli occhi tutti i giorni.