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Sabotaggi e incendi: i beni confiscati sono di nuovo sotto attacco della camorra

A fine maggio il sabotaggio dell’azienda agricola sequestrata ai Casalesi a Grazzanise, pochi giorni fa bruciati i campi di Selvalunga, un’altra delle aziende zootecniche un tempo appartenute alla famiglia Schiavone. Forse è un caso. Più probabile, invece, che sia solo la parte visibile di una strategia mafiosa, vecchia quanto la mafia stessa: mostrare i muscoli per rinfrescare la memoria di quanti credono che il clan dei Casalesi non esista più.
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Il primo sabotaggio alla fine di maggio, a Santa Maria la Fossa, con la distruzione del ponticello che scavalca il canale “Ciccio Villano” e travi e pietre fatte precipitare nel corso d’acqua. Una diga di legno e calcinacci che in poche ore avrebbe dovuto allagare il Consorzio di Bonifica e la Balzana, azienda agricola confiscata alla famiglia Schiavone. Era stata il fiore all’occhiello della Cirio, con le sue decine di ettari di terreno fertilissimo e il villaggio – con scuola, chiesa e case per tecnici e operai – al servizio della comunità. Oggi è in gestione al Consorzio Agrorinasce e destinataria di un finanziamento di venti milioni di euro, soldi necessari a far rinascere l’azienda.

Un mese dopo, ecco arrivare le fiamme: ancora a Santa Maria la Fossa, nella masseria Abbate, confiscata al cugino e omonimo di Francesco Schiavone-Sandokan, capo in vinculis del clan dei Casalesi, un figlio collaboratore di giustizia e altri due pronti a succedergli al comando. Il 28 giugno un incendio ha completamente distrutto il raccolto di grano, dieci ettari di spighe pronte per la raccolta ridotte a tizzoni neri. L’azienda, gestita “Integra Legalità in Movimento”. Da tre anni produce grano aureo per la Barilla.

Un paio di giorni fa ancora il fuoco, a Grazzanise: bruciati i campi di Selvalunga, un’altra delle aziende zootecniche un tempo appartenute alla famiglia Schiavone. Confiscata quasi interamente (una parte del terreno è nella proprietà e disponibilità di Antonio Schiavone, il fratello più piccolo del capoclan ergastolano), è destinataria di due distinti progetti di riqualificazione: il primo, più importante, per la ristrutturazione di casa colonica e stalle; l’altro, per la costruzione di un’isola ecologica. La gara per l’affidamento dei lavori è andata deserta, all’indomani sono arrivate puntuali le fiamme che hanno salvato solo i terreni coltivati da Schiavone.

Forse è un caso. Più probabile, invece, che sia solo la parte visibile di una strategia mafiosa, vecchia quanto la mafia stessa: mostrare i muscoli per rinfrescare la memoria di quanti credono che il clan dei Casalesi non esista più; riaffermare il dominio violento sul territorio; riprendersi quello che era loro e che è diventato dallo Stato. O almeno impedire che su quelle terre si faccia economia pulita e virtuosa.

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Accadde subito dopo la confisca della casa, quella in stile Scarface, di Valter Schiavone, un altro fratello del capoclan, bruciata e vandalizzata alla vigilia del passaggio di consegne. E dopo quella di Selvalunga, dove tutte le bufale furono affamate e fatte morire di brucellosi. E nelle more del lunghissimo sequestro di Ferrandella, un’altra azienda di famiglia, dove le reti di recinzione venivano tagliate ogni volta che il custodi di turno (ne cambiarono molti) le facevano installare. Fu trasformata in discarica durante il periodo dell’emergenza rifiuti del 2008; i trasportatori pagavano una percentuale agli Schiavone – un regalo ai “padroni della terra”, dicevano – nonostante l’azienda fosse stata confiscata da moltissimi anni.

O nostro o di nessuno, pensavano (e pensano) dalle parti del clan dei Casalesi. Vale per i beni della piana dei Mazzoni. Vale per i capannoni industriali dell’entroterra. Come quelli di Euromilk, l’azienda che riforniva la Parmalat, appartenuta a Raffaele Capaldo, cognato di Michele Zagaria. L’immobile è stato prima vandalizzato e bruciato, poi trasformato in discarica abusiva di pneumatici. Sotto gli occhi di tutti.

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