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Quando Federico Salvatore raccontò la storia del Regno di Napoli in una canzone

Tra le canzoni più famose di Federico Salvatore, c’è anche quella che racconta la storia del Regno di Napoli con il suo modo dissacrante ed istrionico.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Una canzone dissacrante, ma allo stesso tempo istruttiva: "La storia del peto nel Regno di Napoli", scritta da Federico Salvatore, è uno dei pezzi più noti al suo vasto pubblico. Il cantautore napoletano, deceduto a 63 anni dopo una lunga degenza in seguito ad una emorragia cerebrale, pubblicò il brano nel lontano 1995, nel suo album più rappresentativo: "Azz…", che lo rese famoso al pubblico al punto da partecipare dal 1996 al Festivalbar come ospite fisso e nel 1997 al Festival di Sanremo, dove al suo essere dissacrante e ironico mostrò anche una straordinaria capacità di affrontare e raccontare un tema delicatissimo come il difficile rapporto tra un ragazzo omosessuale e la madre, cantando il brano "Sulla porta", con il quale arrivò 13esimo alla rassegna canora italiana.

"Il peto nel regno di Napoli" segue uno schema metà istrionico e metà storico. Con il suo carico di doppi sensi, infatti, Federico Salvatore ripercorse tutta la storia del Regno di Napoli fin dalla fondazione nel 1130 fino all'unità d'Italia nel 1861 passando per tutti i sovrani che si alternano sul trono attraverso le varie dinastie, dai normanni fino ai Borbone. Usando come "collegamento" il peto, che diventa una sorta di trait d'union tra i vari sovrani.

"Si racconta che Re Ruggero/primo Re normanno vero..": inizia così la canzone, che parte proprio dal 1130, anno in cui il re normanno "unificò" tutto il Meridione d'Italia in un unico regno, i cui confini rimasero grossomodo identici per oltre 700 anni. In oltre 5 minuti di canzone (una delle sue più lunghe tracce di sempre), racconta così l'evolversi del regno e l'alternarsi di Angioini, Aragonesi, austriaci e spagnoli che si sono succeduti sul trono di Napoli.

E non mancano anche i riferimenti ad aneddoti storici, ("Sale al trono Re Nasone/Ferdinando di Borbone/E la storia ripropone/il perché del soprannome") opportunamente "modificati" per regalare rime e battute come nel suo stile. Come nel passaggio relativo alla Rivoluzione francese e alla Repubblica partenopea, con il ritorno dei Borbone:

Passa a Napoli la corte/del francese Bonaparte/che seppur sc**** forte/la Repubblica non ha sorte.
C'è Murat suo cognato/Ma Gioacchino è fucilato/"Viva la Costituzione"/Popolo: Vulimmo ‘o p*** d'o Burbone!

La canzone si chiude con l'arrivo di Giuseppe Garibaldi a Napoli e dunque con la fine del Regno dopo l'Unità d'Italia. E anche al netto di qualche imprecisione storica ("e se licenze mi so' pigliato/nun mi chiamate screanzato", dice proprio all'inizio del brano), la sua canzone rappresenta (seppur come ampiamente detto in chiave istrionica) uno dei più iconici racconti sulla lunga storia del Regno di Napoli.

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