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Processo sulla pen drive di Zagaria, il poliziotto: “Mai presa, senza me non avremmo catturato il boss”

Oscar Vesevo, il poliziotto sotto processo per la scomparsa della penna usb del superboss Zagaria, ha negato qualsiasi addebito.
A cura di Nico Falco
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L'arresto di Michele Zagaria
L'arresto di Michele Zagaria

Di quella pen drive che sarebbe scomparsa durante la cattura di Michele Zagaria non ne saprebbe nulla, sarebbe rimasto tutto il tempo in corridoio a scavare per cercare il bunker. Così il poliziotto Oscar Vesevo, durante il processo in corso nel Tribunale di Napoli Nord che lo vede imputato per la sparizione di quel supporto che, secondo gli inquirenti, conterrebbe i segreti del capoclan dei Casalesi; difeso dall'avvocato Giovanni Cantelli, è accusato di corruzione e di accesso abusivo ai sistemi informatici in uso alla Polizia.

Ad indicare Vesevo era stata Rosaria Massa, moglie di Vincenzo Inquieto, i due coniugi che quel 7 dicembre 2011 furono arrestati per favoreggiamento in quanto il bunker dove si nascondeva "Capastorta" era nella loro abitazione di via Mascagni, a Casapesenna, in provincia di Caserta. La donna, nel corso della testimonianza resa al processo, aveva detto di avere visto il poliziotto che prendeva una pen drive incastonata in un ciondolo a forma di cuore della Swaroski; aveva però aggiunto che quel supporto era della figlia e che conteneva soltanto canzoni, foto e documenti, e non del capoclan, che a sua detta non era pratico nell'utilizzo di dispositivi informatici.

L'accusa: la pennetta venduta per 50mila euro

Secondo gli inquirenti quella chiavetta sarebbe stata venduta per 50mila euro all'imprenditore Orlando Fontana, che però è stato assolto da questa accusa in un diverso processo per mancato raggiungimento della prova. "Non ho preso alcuna pen drive dal covo di Michele Zagaria – ha detto Vesevo durante il processo – durante le operazioni di cattura sono stato tutto il tempo nel corridoio a scavare per trovare il bunker. E senza di me il capo dei Casalesi non sarebbe stato catturato".

Per il poliziotto, che allora era in servizio presso la Squadra Mobile di Napoli, la Massa lo avrebbe accusato perché era stato lui ad arrestarla insieme al marito. "Eravamo in quattro nel corridoio della casa di Rosaria Massa e Vincenzo Inquieto – ha detto – io sapevo dove era il bunker, e così scavavamo; c'era poi un poliziotto della Mobile alla fine del corridoio che controllava che non entrasse altra gente, visto che davanti casa c'erano tantissime persone".

"Accessi allo Sdi per intensificare le indagini"

In merito all'accusa di accesso abusivo ai sistemi informatici, Vesevo si è difeso spiegando di aver fatto numerosi accessi allo Sdi, la banca dati delle forze dell'ordine, "su delega del capo della Squadra Mobile specie dopo la cattura dell'altro capo dei Casalesi Antonio Iovine, avvenuta nel 2010, e ciò per intensificare le indagini per catturare Zagaria. Ho sempre relazionato ai miei superiori con molte comunicazioni riservate, e nessuno mi ha mai contestato nulla. Peraltro l'accesso non avviene in forma anonima, ma con username e password che sono personali". Si tornerà in aula il prossimo 14 marzo, quando saranno sentiti l'ex capo della Mobile di Napoli, Fausto Lamparelli, e altri due investigatori impegnati nella cattura di Michele Zagaria.

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