Processo Pip Marano: i Cesaro assolti da accusa di concorso esterno, Aniello condannato per falso
Gli imprenditori Aniello e Raffaele Cesaro sono stati assolti dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito del processo sull'area Pip di Marano. La motivazione è che "il fatto non sussiste". Aniello Cesaro è stato invece condannato a 6 anni per l'accusa di falso; il suo legale ha fatto sapere di "confidare nell'assoluzione in grado di Appello".
I due imprenditori, fratelli del senatore Luigi Cesaro, sono alla guida dell'azienda che si era aggiudicata il bando per la realizzazione dei capannoni industriali nell'area Pip di Marano, in provincia di Napoli. Il collegio giudicante (presidente Francesco Chiaromonte, giudici Marina Napolitano e Luca Rossetti) ha disposto il non doversi a procedere nei confronti di Aniello e Raffaele Cesaro per intervenuta prescrizione in relazione ad alcune contravvenzioni.
Gli arresti erano scattati nel maggio 2017, dopo indagini dei carabinieri del Ros secondo cui esisteva una sorta di patto tra i Cesaro ed esponenti del clan camorristico dei Polverino per i lavori (per oltre 40 milioni di euro) per il Piano di insediamento produttivo di Marano. All'epoca gli inquirenti avevano descritto come "documentato" il "patto tra il clan camorristico e i fratelli Aniello e Raffaele Cesaro, funzionale all’aggiudicazione dell’appalto attraverso intimidazioni mafiose e reimpiego delle ingenti risorse economiche provenienti dai traffici illeciti del clan".
Sull'assoluzione si è espresso l'avvocato Vincenzo Maiello, che difende entrambi i fratelli:
I due imprenditori sono stati sottoposti per 4 anni a misure cautelari, di cui i primi due anni in carcere. Prendiamo atto, con grande soddisfazione, che il Tribunale di Napoli Nord ha certificato la contrarietà ai fatti di un'accusa così grave che ha creato tanta sofferenza personale, familiare ed economico-imprenditoriale ai miei assistiti. Dobbiamo riconoscere al tribunale di avere emesso una decisione in piena autonomia e autonomia di giudizio, nonostante una campagna mediatica che aveva sin dall'inizio raccontato enfaticamente la vicenda, alimentando un forte e diffuso pregiudizio nei confronti degli imputati.