Ponticelli, la vita nel quartiere delle bombe: “C’è rassegnazione, ci sentiamo sgarrupati”
Come ogni 11 novembre a Ponticelli è stato il tempo del ricordo, quello per la strage del bar Sayonara dell'11 novembre 1989 in cui morirono a seguito di un'agguato di camorra 4 innocenti, vittime di pallottole vaganti. Il quartiere vive ormai da anni la guerra di camorra tra i vecchi clan del territorio e i giovani emergenti. Un conflitto che ha raggiunto picchi di violenza mai registrati negli ultimi anni in Italia, con continue stese nei rioni popolari, agguati, vendette e l'uso frequente di bombe. Già, Ponticelli è diventato il quartiere delle bombe, dove non è raro assistere a deflagrazioni nella notte in più punti del quartiere. Uno scenario da Sud America che costringe i cittadini a vivere nella paura continua. Ma è una faida, quella di Ponticelli, che non vede fine, tanto da portare un crescente sentimento di rassegnazione tra chi vive il territorio. Siamo andati a vedere come si vive nel quartiere delle bombe.
La faida a colpi di bombe: "Per molte persone ormai è normale"
La più recente è la bomba in via Luigi Crisconio, qualche mese fa, una deflagrazione nel cuore della notte tra palazzi molto vicini tra loro. C'è chi si è svegliato con i mobili crollati sul letto, chi ha riportato danni alle vetrate ed ai balconi. Si è sfiorata una strage in quella occasione. Ma cosa sta succedendo esattamente? A spiegarcelo è Pasquale Leone, di Libera, che è attivo da diversi anni sul territorio nella lotta contro la camorra. "Su Ponticelli le dinamiche criminali non si sono mai assestate, dopo la sconfitta per mano delle forze dell'ordine del clan Sarno intorno al 2009 – ci spiega – sono andati a crescere due clan che hanno assunto un atteggiamento da narcos. I De Micco e i D'Amico, detti rispettivamente i "Bodo" e i "Fraulella". Macchine di grossa cilindrata, abbigliamento sgargiante, tatuaggi, i giovanissimi camorristi di Ponticelli sembrano usciti da una serie Tv di Netflix piuttosto che dai rioni popolari della periferia Est di Napoli. "Oggi i vecchi clan di camorra, rinforzati da alcune scarcerazioni eccellenti si contrappongono ai nuovi clan emergenti. Una guerra combattuta con un livello di violenza estremo, fino all'uso frequente di bombe" racconta Leone. Eppure la storia criminale dei clan del territorio non ci parla di grandi affari ed espansione, ma di una camorra molto territoriale: "Non sono mai stati imprenditori con interessi sugli appalti – sottolinea Leone – ma le dinamiche criminali si giocano tutte sullo spaccio di droga e il controllo del territorio". Una, due, tre bombe, quando sono iniziate a diventare una consuetudine, senza che cambiasse nulla, i cittadini hanno iniziato ad abituarsi. Alla minima esplosione il tam tam passa sui gruppi Facebook del quartiere, nei messaggi di whatsapp: "Ma è stata un'altra bomba?". Poi, se ne parla una mattinata, al massimo un pomeriggio, il tempo di un titolo del giornale e si ricomincia tutto come prima. "Vivere in un quartiere dove mettono le bombe – dice Leone – significa vivere sempre sul chi va là, ci sono zone del quartiere dove devi passare velocemente, perché sai che in quel posto non è il caso sostare. Ma per molte persone ormai è normale, l'esplosione di una bomba a pochi metri da casa è diventata la normalità". Un territorio dove non c'è lavoro (che novità), dove solo 4 parchi su 10 sono aperti, dove nonostante le attività delle associazioni territoriali i giovani continuano ad essere arruolati nei clan oppure ad emigrare. La sesta Municipalità (Barra – S.Giovanni e Ponticelli) è la zona di Napoli che si è maggiormente spopolata negli ultimi 10 anni.
Il coprifuoco dopo le 19: "E' come pagare il pizzo alla camorra"
Anna Ferrara ha un negozio di giocattoli da molti anni, nei pressi di Piazza Aprea, nel cuore storico di Ponticelli. Fa parte di SOS Impresa ed ha raggiunto buoni risultati sul territorio. Il pizzo resta il fenomeno criminale meno diffuso, i commercianti hanno denunciato in passato e denunciano ancora oggi. Ed allora meglio concentrarsi sulla droga, affare più redditizio che giustifica la guerra cruenta. "Noi paghiamo il pizzo alla camorra – spiega Ferrara – ma non perché diamo i nostri soldi contanti ai malavitosi della zona, non ci sogneremo mai di farlo. Ma perché arrivati alle 19-19:30 il quartiere è deserto, è inutile stare aperti perché non ci sarebbe nessun introito. E' un coprifuoco imposto di fatto dalla camorra, come si fosse un pizzo simbolico. Quindi noi non abbiamo altra scelta che chiudere le saracinesche e tornare le quattro mura di casa nostra". La sera, soprattutto adesso che fa buio prima, Ponticelli diventa un quartiere deserto. Meglio non stare in giro, meglio non passarci proprio per quelle zone dove di giorni ci devi passare velocemente. A correre sugli scooter di grossa cilindrata sono solo i giovanissimi soldati dei clan. "Si tratta di ragazzi che per un paio di scarpe firmate venderebbero l'anima al diavolo, fanno veramente paura" sottolinea Anna Ferrara. "Vivere in un quartiere dove mettono le bombe, dove fanno le stese, significa sopravvivere, non si vive". Se li ricorda Anna quei ragazzini che uscivano dalle scuole medie ed elementari di Ponticelli, che compravano i giocattoli con le mamme nel suo negozio. Ora sparano e mettono le bombe. "Spesso mi chiedo dove abbiamo fallito, ma se noi abbiamo fallito è perché dietro di noi ha fallito lo Stato che non ha mai messo mano a questi territori seriamente".
L'assenza di reazione: "I giovani si sentono sgarrupati, come nel film"
Michele De Martino è presidente dell'associazione Report, suo fratello il 6 gennaio del 2000 morì ucciso da una pallottola vagante durante un agguato in Piazza Aprea. Una vittima innocente di camorra. Un episodio che ha segnato tutta la sua vita. "Io non sono riuscito ad andare via da Ponticelli – ci racconta – mi sono sposato qui, vivo il quartiere e la sua realtà sociale". Attivo nelle attività parrocchiali, Michele ci racconta l'assenza di reazione alla guerra di camorra da parte del territorio: "Spesso mi capita di parlare con i giovani e mi sembrano come la bambina nel film "Io speriamo che me la cavo" quando diceva: "I muri sono sgarrupati, il pavimento è sgarrupato e certe volte mi sento sgarrupato anche io", così si sentono i giovani di Ponticelli, sgarrupati". Suo fratello morì con un colpo al costato destro, si rese conto che stavano sparando e spinse via l'amico che era con lui che fu colpito solo di striscio. Lui invece entrò in quel momento tra le vittime innocenti di camorra. Anche se farlo riconoscere come tale è stata una battaglia lunga e non ancora conclusa. L'associazione di Michele sorge proprio accanto ad una scuola e svolge attività per i giovani: "C'è una parte che adita il dito, si indigna, ma non c'è una reazione – sottolinea – per la gente è normale vivere in una guerra così, c'è rassegnazione. Oggi i giovani hanno perso anche la capacità di sognare". Storie di periferia, ma una periferia che sembra aver perso la speranza. Serve un intervento dello Stato, certo. Il tema delle periferie ha caratterizzato, il seppur scarso dibattito delle recenti elezioni comunali di Napoli. "Sono 30 anni che parliamo sempre della stessa cosa, ma il Comune latita" conclude Michele.