Quando Pino Daniele dal palco zittì i razzisti che gli urlavano “Impara a parlare!”
«Impara a parlare!». La frase è urlata nel buio della folla durante una notte di musica, da lontano. Gli anni Ottanta, i grandi festival dal vivo, sopite ma non finite le tensioni politiche figlie dei Settanta. All'ombra del Vesuvio la cesura rappresentata dal terremoto del 23 novembre non aveva ancora ‘strappato' di sofferenze e colpevoli attese la Campania. Sul palco un ragazzo «con la faccia da indiano e il passato un po' più strano», Giuseppe Daniele, in arte Pino, per gli amici del quartiere e musicisti Pinotto. Batteria, basso, sax, tastiere chitarra e voce si fanno sentire a Pescara, quella costa adriatica che non è paese ma nemmeno grande città, che non è Sud ma nemmeno Nord.
«Impara a parlare!» , viene alluccato proprio al frontman, Pino Daniele, che quel giorno del 1980 è sul palco pescarese per un live molto speciale, destinato a rimanere nella storia: il concerto è ripreso dalle telecamere della Rai che ha intenzione di farne uno speciale.
Ancora da venire i tempi dei concertoni con droni, impianti super sofisticati e grandi effetti speciali: quello di Pino Daniele è un concerto semplice, di musica, passione e testi potentissimi. E una band eccezionale a dir poco: Gigi De Rienzo al basso, Rosario Jermano e Tony Esposito alle percussioni, James Senese al sax, Mauro Spina alla batteria, Ernesto Vitolo, tastiera.
In scaletta, canzoni destinate a diventare leggenda: «Quanno chiove», «A me me piace ‘o blues», «Terra mia», «Napule è». Ma il concerto non è solo musica, è anche dialogo con gli spettatori. Pino esordisce parlando del suo rapporto col pubblico: «Uè, io al pubblico do del tu, come fosse una persona sola…».
A qualcuno dei presenti a Pescara però non va giù il tono colloquiale, l'uso del dialetto napoletano. Erano anni in cui chi varcava la linea del Garigliano subiva ancora ironie, cattiverie e stereotipi al limite del razzismo territoriale. Dal pubblico si leva una voce che provocatoria contro Pino: «Impara a parlare!». Una contestazione stupida, visti i tanti che erano lì per ascoltarlo ed evidentemente ritenevano ben più che "comprensibili" le sue parole. Ma questo tipo di contestazione negli anni ha colpito più volte gli artisti napoletani. Uno dei migliori amici di Pino, Massimo Troisi, veniva anch'egli accusato agli esordi di essere incomprensibile in scena. Quando Troisi morì Roberto Benigni scrisse una bellissima poesia. In un verso ricordava anche queste polemiche: «"Non si capisce!", urlavano sicuri / questo Troisi se ne resti al Sud! Adesso lo capiscono i canguri / gli Indiani e i miliardari di Holliwood».
Torniamo a Pino Daniele sul palco di Pescara. Quella sera il "Nero a metà" non si scompose. E la sua risposta fu leggendaria: «Còmme? Ah beh, l'importante è sape' súna!». La chiosa a fine concerto fu il dito medio di James Senese, evidentemente dedicato a qualche provocatore fra il pubblico.
Un anno dopo, forse memore di quella storia, in una delle sue canzoni più belle, tutta in dialetto partenopeo, "Viento ‘e terra", album Vai Mo', 1981, Pino scrisse i seguenti versi, evidentemente dedicati a chi gli chiedeva di parlare in italiano: «Se capisci va bene… o sinò te futte».