Pino D’Angiò fu attore ne Il Camorrista, il film su Cutolo: recitò in due scene memorabili
Quindici album pubblicati, 14 singoli, la popolarità in Italia e anche all'estero, soprattutto in Spagna, col brano "Ma quale idea": la carriera di Pino D'Angiò, morto oggi a 71 anni, è legata sicuramente al mondo della musica. Ma qualche salto tra le altre arti non è mancato: è stato uno degli interpreti del film "Il Camorrista", sulla vita di Raffaele Cutolo, il capoclan che aveva rivoluzionato la camorra fondando la "Nuova Camorra Organizzata".
Pino D'Angiò nel film Il Camorrista
Nella pellicola, esordio alla regia e alla sceneggiatura di Giuseppe Tornatore e tratto dal romanzo di Giuseppe Marrazzo, Pino D'Angiò (al secolo Giuseppe Chierchia, originario di Pompei e vissuto dall'infanzia a Mercato San Severino) ha interpretato un ruolo secondario, eppure ha recitato in due tra le scene più iconiche del film: è il camorrista Verzella, quello che, insieme ai Nunziata, si contrappone all'ascesa del "Professore di Vesuviana" e della sua "Camorra Riformata". All'epoca D'Angiò era già un cantante famoso: il film è del 1986 e cinque anni prima la sua "Ma quale idea" aveva conquistato la hit parade spagnola per 14 settimane.
Le due scene iconiche del film di Tornatore su Cutolo
La prima scena è quella della "trattativa", se così la si può chiamare: il fedelissimo Alfredo Canale (interpretato da Nicola Di Pinto) e gli altri affiliati di Cutolo vanno a imporre il racket sugli affari illegali alle vecchie famiglie di camora. D'Angiò, immancabile sigaretta tra le dita, qui ha solo una battuta: "Guagliù!", per chiamare i propri scagnozzi e far circondare quelli del Professore, prima di accorgersi che erano tutti imbottiti di dinamite.
Successivamente D'Angiò/Verzella ricompare quando sullo schermo viene rappresentata la strage di Poggioreale, che si ispira alla mattanza che i cutoliani fecero degli affiliati ai clan rivali approfittando del caos generato dal terremoto del 1980. E anche qui si tratta di una delle scene più memorabili: forse il collegamento per lo spettatore non è immediato, ma Verzella è il detenuto che il Professore di Vesuviana fa uccidere dal ragazzo che, nella finzione, è il fratello di quella che sarebbe diventata sua moglie; il giovane, però, lo ferisce e lo lascia agonizzante, non avendo il coraggio di finirlo. Anche qui basta citare la battuta di Ben Gazzara: "E che fai, ‘o lasse accussi'? Levati ‘a miezzo".