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Omicidio di Marzia Capezzuti

Perché Marzia Capezzuti non ha chiesto platealmente aiuto? Analisi di un comportamento

Per la storia di Marzia Capezzuti ci dovrebbe essere un ulteriore elemento da indagare: la sua solitudine. I deficit cognitivi non impediscono alla persona che ne è affetta di percepire il dolore. Ma l’isolamento impedisce di chiedere aiuto.
A cura di Anna Vagli
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Più si è soli e più si può stare male. Più si rimane soli e più si diventa vulnerabili. Questo è quello che è accaduto a Marzia Capezzuti. Sicuramente, una vittima con alcuni deficit cognitivi. Ma non per questo immune alla violenza fisica, verbale, economica. Dalla quale, con alta probabilità, è stata perseguitata per molto tempo.

Oggi il troncone di indagine relativo all’omicidio e all’occultamento di cadavere vede come indagati Maria Barbara Vacchiano, sorella dell’ex fidanzato di Marzia, il suo compagno, Damiano Noschese, i loro figli, Vito, Annamaria e Stefano Noschese, nonché  gli amici di famiglia Gennaro Merola e Gennaro Pagano. Tuttavia, in una dimensione parallela, un altro elemento dovrebbe essere perseguibili: la solitudine. Variabile terza, ma non meno decisiva, in quella che si pensa possa essere stata la tragica fine di Marzia.

Marzia Capezzuti
Marzia Capezzuti

Perché Marzia non ha chiesto platealmente aiuto? Il volto tumefatto, gli occhi gonfi, la camminata claudicante. Questo è il ritratto di Marzia, poco prima della scomparsa nella foto scattatale da una persona che l’aveva incontrata per strada.

Le persone come lei possono avere disturbi cognitivi o limiti funzionali, ma non sono danneggiate in alcun modo nella loro capacità di sentire. I deficit, di qualunque natura essi siano, sono in grado di determinare a cascata una diminuzione delle abilità e dell’autonomia personale, ma non pregiudicano l’intelligenza emotiva di una persona. Marzia percepiva il suo dolore. Fin dai primi maltrattamenti ne ha portato traccia dentro sé.

Verosimilmente, però, quelle mani addosso, oltre a restringerle la vita, le avevano compromesso la capacità di comunicare efficacemente con le parole. Non solo con i suoi genitori e la sua famiglia d’origine, ma con chiunque avesse la minima possibilità di entrare in contatto con lei.

In forza di un robustissimo cordone psicologico con il quale era stata vincolata. Una sorta di soffitto di cristallo che aveva completamente azzerato le possibilità di chiedere aiuto.

Quindi, la sofferenza – seppur presumibilmente esponenziale – è stata soffocata dal vortice di solitudine e isolamento che l’ha travolta. Tradita dalle persone che l’avevano accolta come una di famiglia. Rendendo di fatto il dolore ancor più devastante.

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Gli indagati daranno informazioni utili alle indagini? Di fronte a lividi, racconti e comportamenti sospetti, è uno sforzo inutile quello di credere in un qualche tipo di collaborazione dei sette indagati per l’omicidio e l’occultamento del cadavere. Almeno fino a quando non saranno emerse con evidenza le rispettive responsabilità.

Chi ha il coraggio di macchiarsi di certi tipi di reato, con condotte di maltrattamenti peraltro reiterate nel tempo, non si pone alcuna remora nel respingere qualsiasi addebito. Perché nella quasi totalità dei casi si tratta di soggetti convinti di poterla fare franca.

Questo potrebbe essere il motivo – il condizionale è d'obbligo in questa fase – per il quale la "famiglia acquisita" di Marzia ha fin da subito messo in atto negazioni strenue anche di fronte a fatti inequivocabili.
Questa la ragione per la quali i sette che sono stati iscritti nel registro degli indagati hanno fornito giustificazioni pretestuose ai limiti dell’assurdo. Sostenendo addirittura l’ipotesi dell’allontanamento volontario di Marzia. Giustificazioni alternate a impervi silenzi e reticenze ostinate.

Marzia Capezzuti
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