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Mare Fuori 4

Perché Mare Fuori non è solo carcere ma speranza: c’è la forza della scuola. E dello Stato

La serie Rai “Mare Fuori” si conferma di fondamentale importanza nel convogliare l’attenzione dell’opinione pubblica sugli istituti penitenziari minorili e sulla condizione degli adolescenti, grazie a una narrazione non scontata nella quale tutti, a Napoli, a Roma o a Milano, possono riconoscersi.
A cura di Valerio Papadia
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Al Festival di Sanremo si sono accesi i riflettori sul carcere minorile di Nisida, a Napoli, grazie al monologo della giornalista Francesca Fagnani. A calcare quello stesso palco saranno anche i protagonisti di "Mare Fuori", fiction televisiva Rai giunta alla terza stagione che parla proprio di un gruppo di giovanissimi reclusi nell'istituto penitenziario minorile di Napoli (l'isolotto di Nisida e il carcere minorile non vengono mai menzionati, la serie non è girata lì, ma il riferimento è chiaro).

Prima della Fagnani a Sanremo, però, è stata proprio la fiction targata Rai – distribuita anche su Netflix – in tempi recenti a convogliare nuovamente l'attenzione dell'opinione pubblica sugli istituti penitenziari minorili e sulla condizione degli adolescenti in generale. Lo ha fatto grazie ad una narrazione non scontata, che si muove da Napoli e arriva sul palco dell'Ariston non soltanto per una questione di mera pubblicità (si tratta pur sempre di una fiction Rai, che in un evento Rai come il Festival di Sanremo è giusto trovi il suo spazio), ma perché in tre stagioni è riuscita a raggiungere tutte le periferie d'Italia, una storia in cui tutti si possono riconoscere.

Chi si immedesima nei ragazzi di Mare Fuori 3

Ci si riconosce, ad esempio, in Filippo Ferrari, uno dei protagonisti, interpretato da Nicolas Maupas: milanese, di famiglia ricca, talento musicale in erba. Uno come lui non dovrebbe avere niente a che spartire con un istituto penitenziario, eppure Filippo si ritrova in carcere per un errore: dopo una notte di eccessi, il ragazzo provoca accidentalmente la morte del suo migliore amico.

Ci si riconosce in Carmine Di Salvo (l'attore è Massimiliano Caiazzo), che vuole emanciparsi dalla sua famiglia criminale, vuole solo fare il parrucchiere e vivere con la sua Nina: Carmine perde molto, praticamente tutto, ma in fondo non perde mai la speranza di quella vita migliore che sogna da sempre. Ragazzi come Filippo e Carmine, ma anche come Pino, Edoardo o Totò, come Naditza e Silvia, ci sono a Napoli come a Milano, a Genova, a Udine, a Roma. Sono ragazzi che hanno commesso un errore, con sogni e speranze, difetti e contraddizioni, in cui tutti, senza bisogno di commettere un reato e finire in carcere, possono immedesimarsi.

Non è come Gomorra: in Mare Fuori c'è speranza

Dal 2019, anno in cui Mare Fuori ha debuttato su Rai Uno, c'è stato chi ovviamente ha accostato il prodotto a un'altra serie ambientata nel mondo criminale napoletano: Gomorra. Chi ci ha visto, ci vede o ci vedrà punti di contatto, però – a detta di chi scrive – sbaglia. Non inducano in errore il dialetto napoletano marcato, la violenza, gli atteggiamenti e il contesto criminale che contraddistinguono alcuni personaggi; in Mare Fuori c'è qualcosa che in quattro stagioni di Gomorra si è soltanto intravisto: lo Stato. E la speranza.

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Il comandante della Penitenziaria, Massimo Esposito (interpretato da Carmine Recano) dedica tutto sé stesso ai ragazzi dell'istituto. E così fa l'agente Liz (interpretata da Anna Ammirati), che spesso oltrepassa il confine tra vita professionale e privata affinché i ragazzi capiscano l'importanza di studiare. Oppure Beppe, l'educatore dell'istituto (interpretato da Vincenzo Ferrera) che sprona i ragazzi ad inseguire le proprie passioni: la musica, la poesia, la vela. Atteggiamenti positivi, modelli da seguire per i ragazzi, non soltanto all'interno dell'istituto: una speranza per quella che sarà la vita all'esterno, fuori, dove ci sono il mare, e la luce, ad attenderli.

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Sono giornalista dal 2010. A Fanpage.it dall'agosto del 2016, scrivo per l'area Napoli, per la quale mi occupo del desk.
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