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Omicidio Jerry Masslo, anni dopo i braccianti trattati ancora come schiavi

Il sudafricano Jerry Essan Masslo fu ucciso nella notte fra il 24 e il 25 agosto 1989 a Villa Literno. Da quel giorno fu impossibile nascondere che il Quarto Stato aveva cambiato da tempo il suo colore. E tutt’Italia si accorse di quell’invisibile esercito di uomini arrivati dall’Africa, della loro disperazione, della loro voglia di riscatto.
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Funerali Masslo / foto archivio Agenzia Frattari
Funerali Masslo / foto archivio Agenzia Frattari

Era iniziata così, proprio come di questi tempi, con il fastidio per presenze necessarie ma ingombranti, con l’insofferenza per il sovraffollamento estivo e la mancanza di docce, con qualche isolata ventata di puro razzismo e l’ostentato disprezzo verso quei «senza Patria e senza Dio» che avrebbero certamente, per questo, insidiato donne e bambini. Era iniziata con qualche pestaggio, molte gambizzazioni, l’incendio delle auto degli ambulanti senegalesi, incidenti stradali dalle dinamiche misteriose, uomini-birillo travolti e uccisi per noncuranza, disprezzo, sadico gioco criminale, divertissement di reclute di camorra. Era iniziata con tre omicidi sul finire del 1986 e con la morte, a ferragosto dell’anno successivo, di Fouad Khaimarouni, un bracciante egiziano scaraventato dal secondo piano di una casa in costruzione mentre ancora era addormentato. Il contesto, il distretto agricolo di Villa Literno-Cancello Arnone-Giugliano, con la sua ricchezza color rosso pomodoro, la vitale necessità di braccia, la totale assenza di servizi. C’era lavoro per tutti, mal pagato (mille lire per ogni cassa raccolta) ma c’era. Ma non c’erano alloggi, acqua potabile, autobus.

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Eppure, quelle campagne assolate erano una risorsa per chiunque volesse mettere qualche soldo da parte per l’inverno: per se stesso o per mantenere le famiglie rimaste in Africa. A quel tempo erano quasi tutti lavoratori stagionali, molti diplomati o laureati. Terra di Lavoro terra di transito verso una destinazione migliore. George Korsah, ghanese, protosindacalista e portavoce della sua comunità, dopo un paio di stagioni andò a lavorare in Lombardia, in un museo. Jerry Essan Masslo, profugo sudafricano sfuggito all’apartheid e alle persecuzioni razziste che gli avevano ucciso padre e figlio, voleva riprendersi la vita.

Fu intervistato da Raidue, nel programma “Nero e non solo”, durante la permanenza nella comunità romana di Sant’Egidio. E le sue furono parole tragicamente premonitrici:

«Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un'accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo».

24 agosto 1989: l'omicidio di Jerry Masslo

La tomba di Jerry Masslo
La tomba di Jerry Masslo

Alla vigilia di quel 24 agosto del 1989 in cui Jerry Essan Masslo, profugo al quale era stata negata la protezione umanitaria al tempo concessa solo a chi veniva dall’ex Urss, fu ucciso, tutta l’Italia si accorse di quell’invisibile esercito di uomini arrivati dall’Africa, della loro disperazione, della loro voglia di riscatto. Fu ammazzato di notte, da quattro giovanotti incappucciati. Erano quattro balordi, rapinatori, che nel contesto di insofferenza e di razzismo avevano trovato l’alibi per giustificare la razzia dei soldi guadagnati nell’intera stagione dai «senza Patria e senza Dio», come li definì in aula uno dei loro avvocati, quando furono processati e condannati.

La rivolta degli ‘schiavi' contro i caporali

La caccia al nero, propugnata attraverso un volantino distribuito sul litorale domiziano qualche giorno dopo, non si fermò allora. Ma l’Italia reagì con forza. Ai funerali di Masslo, trasmessi in diretta dalla Rai, arrivarono migliaia di persone. In chiesa, la corona di fiori del presidente della Repubblica; tra i banchi, il vicepresidente del Consiglio Claudio Martelli, che sei mesi dopo firmò il primo decreto legge organico sulla regolamentazione degli immigrati. Nemmeno un mese dopo, il 20 settembre del 1989, dalla “rotonda degli schiavi” , l’incrocio di Villa Literno dove all’alba di ogni mattina i braccianti si riunivano aspettando i caporali che li avrebbero portati al lavoro, partì il primo corteo organizzato dal Coordinamento dei lavoratori extracomunitari.

I migranti tengono il feretro di Jerry Masslo/ foto archivio Agenzia Frattari
I migranti tengono il feretro di Jerry Masslo/ foto archivio Agenzia Frattari

In testa, Isidoro Mobey Longo Yengo, arrivato in Italia con una borsa di studio per studiare ingegneria, finito anche lui nel mercato delle braccia. Il 7 ottobre, a Roma, la più imponente manifestazione antirazzista mai organizzata in Italia. Da quel giorno fu impossibile nascondere che il Quarto Stato aveva cambiato da tempo il suo colore, che gli ultimi tra gli ultimi erano quelli arrivati dall’Africa, dalle persecuzioni, dalle guerre, dalla povertà.

Dopo la morte di Jerry Masslo cosa è cambiato?

Trent’anni sono più di una generazione. Sono il tempo sufficiente a integrare, mescolare, accettare, conoscersi e riconoscersi al di là del colore della pelle. Un processo lungo e difficile, ma la strada sembrava ormai imboccata. Racconta Pasquale Iorio, all’epoca segretario della Cgil di Caserta: «Il contesto in cui maturò la morte di Jerry Essan Masslo è molto simile a quello di questi ultimi mesi, c’è una spinta razzista molto forte. Eppure, in questo comprensorio, agricoltura, zootecnia, edilizia si reggono esclusivamente grazie alla manovalanza immigrata: africana nelle campagne, indiana negli allevamenti di bufale, dell’Est e africana sui cantieri. Sono convinto che la risposta, per non spezzare il filo che si era creato grazie a Chiesa, associazioni, scuola, debba essere di carattere culturale e politico. Perché c’è un pericolo: dopo la strage del 2008, quando i killer del clan dei Casalesi uccisero sei ragazzi africani solo perché neri, a scopo dimostrativo ed esemplare, sul litorale domiziano si sta creando un nuovo ordine: la camorra che sovrintende e la mafia nigeriana che gestisce droga e prostituzione ma non certo il mercato delle braccia. Un’alleanza che può diventare esplosiva, sottovalutata o addirittura ignorata dalla politica».

Il luogo dell'omicidio Masslo/ foto archivio Agenzia Frattari
Il luogo dell'omicidio Masslo/ foto archivio Agenzia Frattari

Renato Natale, sindaco di Casal di Principe al suo secondo mandato consecutivo, trent’anni fa fondò un’associazione intitolata a Jerry Masslo. Medico, assieme ad altri medici volontari, infermieri, mediatori culturali, ha gestito un fondamentale presidio epidemiologico: suoi tutti i dati su nuove e vecchie malattie, sulle condizioni igienico-sanitarie in cui vivevano chi si rivolgeva a lui, sui fenomeni criminali emergenti. «Trent’anni dopo – commenta – non è il sistema legislativo a essere cambiato ma il clima, che è notevolmente peggiorato. Le proteste dell’epoca, pur se con qualche punta di non nascosto razzismo, era causato da esasperazione, disagio, sovraffollamento. A Villa Literno, che all’epoca aveva poco meno di diecimila abitanti, durante la stagione del pomodoro arrivavano tre-quattromila braccianti. Era oggettivamente una situazione pesante. Oggi non è così ma negli ultimi anni il razzismo vero e proprio ha preso forma e sostanza. Oggi Jerry Masslo ripeterebbe, a ragione, esattamente le stesse cose che disse in quella intervista, anche se la maggior parte delle persone che abitano da queste parti non la pensa così. L’Italia, il nostro Sud, è profondamente cattolico. E la Chiesa e il pensiero socialista hanno creato una base culturale e un fondo naturale fatti di generosità e accoglienza, assai difficili da scalfire. È la nostra Italia migliore».

Da sinistra: Pasquale Iorio, Renato Natale e Camilla Bernabei
Da sinistra: Pasquale Iorio, Renato Natale e Camilla Bernabei

Camilla Bernabei, segretaria della Cgil della Campania dopo un lungo mandato a Caserta, ha raccolto e gestito l’eredità di quel lontano 1989. In questi giorni si sta preparando alla manifestazione antirazzista del 6 e 7 ottobre, con il segretario generale Maurizio Landini. «La morte di Masslo ha segnato – spiega – tutta la nostra attività sindacale. La tutela degli immigrati è coincisa con la tutela delle nostre principali attività lavorative. Abbiano iniziato a fare sindacato di strada, all’alba, nei punti di raccolta dei braccianti e dei manovali: tra Giugliano e Qualiano, a Mondragone, a Cancello Arnone. È parte fondamentale della nostra battaglia contro il caporalato. Devo rilevare, però, che la strada, mai facile, percorsa nel tempo è diventata difficile e in salita negli ultimi mesi. Brutto clima, via libera a manifestazioni apertamente razziste, di nuovo stranissimi incidenti stradali, di nuovo strike con i birilli neri. E non c’è quasi più nessuno disposto a indignarsi».

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