Omicidio di Gaetano Marino, chiesti due ergastoli per l’agguato al boss a Terracina
Ergastolo per Arcangelo Abbinante, ritenuto esecutore materiale dell'omicidio, e per Giuseppe Montanera, accusato di avere fatto parte del commando di morte, e 25 anni di reclusione per Carmine Rovai e Salvatore Ciotola, i due che secondo la ricostruzione degli inquirenti fornirono appoggio logistico per l'agguato. È la richiesta del sostituto procuratore Maria Teresa Gerace, della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nell'ambito del processo per la morte di Gaetano Marino, McKay all'anagrafe di camorra, boss degli scissionisti di Scampia ucciso sul lungomare di Terracina il 23 agosto 2012.
Marino, noto anche come "Moncherino" per la mancanza di entrambe le mani, quel giorno era con la famiglia nello stabilimento balneare "Il Sirenella". I sicari sapevano che lo avrebbero trovato lì. Agguato organizzato, pianificato, messo a segno in pieno agosto e in un luogo affollato: Marino fu attirato sulla strada e ucciso con diversi colpi di pistola. Per gli inquirenti quella condanna di morte è arrivata da Secondigliano, funestata da guerre di camorra: si stava concludendo lo scontro interno alla fazione degli Scissionisti, tra gli Amato-Pagano e gli Abete-Abbinante-Notturno, e stava cominciando una nuova faida, quella che avrebbe portato alla nascita del clan della Vanella Grassi, i "Girati", scissionisti degli scissionisti che erano tornati alleati al clan Di Lauro.
Quella di Gaetano McKay era una figura di primissimo piano: insieme al fratello Gennaro, tuttora detenuto, controllava l'area delle Case Celesti, ancora oggi tra le principali piazze di spaccio della periferia nord di Napoli. Per gli inquirenti l'omicidio di Marino si colloca proprio in quelle guerre di camorra, con l'obiettivo di prendere il controllo delle piazze di spaccio dell'area nord e della immediata periferia. Abbinante, Montanera, Rovai e Ciotola sono accusati, a vario titolo, di omicidio volontario aggravato, detenzione illecita di armi e utilizzo di armi in luogo pubblico. Durante il processo è stata chiamata a deporre anche Tina Rispoli, vedova della vittima e oggi moglie del neomelodico Tony Colombo; la donna ha affermato di non sapere che il marito fosse un camorrista.