Omicidio Aldo Gioia, per figlia e fidanzato chiesti 24 anni: “Più lo colpivo e più mi piaceva”
Ventiquattro anni ad Elena Gioia, figlia della vittima, e la stessa pena per il fidanzato di lei, Giovanni Limata. È la condanna che è stata chiesta ieri dal pubblico ministero Vincenzo Russo al termine della requisitoria nel processo per la morte di Aldo Gioia, ferito la notte del 24 aprile 2021 nella sua abitazione di corso Vittorio Emanuele, ad Avellino, e morto poco dopo in ospedale. Si trattò, hanno ricostruito gli inquirenti, di un omicidio pianificato: a sferrare i colpi era stato Limata, che secondo il piano, organizzato con la ragazza, avrebbe dovuto ammazzare anche la madre e la sorella della fidanzata. Il movente sarebbe stato nel fatto che l'uomo non condivideva la relazione tra i due.
Per il pm Russo i due imputati "sono due persone che hanno commesso un delitto brutale, ma sono pur sempre due ragazzini" e "non c'è alcun aspetto di psicopatia, non c'è una malattia. Nessun disturbo, ma sono giovanissimi e immaturi che avevano la capacità di intendere e di volere. Debbono essere messi in equivalenza i comportamenti di entrambi". In aula erano presenti Limata e la madre, mentre Elena Gioia ha rinunciato.
I messaggi tra Elena Gioia e Giovanni Limata: "Devo ammazzare anche tua sorella?"
Durante la discussione il pm ha evidenziato i messaggi che i due imputati, all'epoca dei fatti 18 anni lei e 22 lui, si erano scambiati. "Devo ammazzare anche tua sorella?", chiede lui. E lei: "Si, tutti". E poi c'è quello che ha dato il via all'omicidio, mandato dalla ragazza al fidanzato: "Si è addormentato, scendo e vengo ad aprirti". Quella sera Limata entrò nell'abitazione di Gioia e sferrò contro l'uomo, che dormiva sul divano, una quindicina di fendenti; secondo i periti tre sono stati quelli mortali. Aldo Gioia fu portato in ospedale dove morì poco dopo.
Inizialmente Elena Gioia parlò di una irruzione di ladri, ma le indagini si concentrarono subito sulla coppia. Limata venne rintracciato nella sua abitazione di Cervinara e consegnò agli investigatori l'arma del delitto, un coltello da caccia. Agli atti anche un messaggio inviato dal ragazzo a un'amica, dopo l'omicidio: "Sono un mostro, più lo colpivo, più mi piaceva".