Napoli vince lo scudetto a 800 km di distanza, è la celebrazione del napoletano emigrante
«No, no, anzi, a Napoli avevo anche un lavoro, sono partito così per viaggia’, per conoscere…».
Massimo Troisi – "Ricomincio da Tre"
Doveva andare così, doveva vincerlo a Udine, 842 chilometri di distanza, 8 ore e 20 minuti di viaggio in arrampicata sull’autostrada del Sole, direzione Nord Est.
Anche se il calcio non è la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto, in questo mondo che racchiude passioni sportive, tensioni territoriali e interessi economici qualcosa che riguarda tutti c’è.
La squadra azzurra oggi fa come tanti figli di questa terra che le soddisfazioni se le vanno a prendere a centinaia di chilometri di distanza.
Parliamo delle gesta d’atleti milionari, vero; ma conosco le storie delle donne e degli uomini che ad certo punto della loro esistenza fecero un nodo al cuore e uno al binario di Napoli Centrale o ai paletti dello stradone che porta all’aeroporto di Capodichino. Per alcuni quel filo s’è reciso, per altri resiste.
Sono muratori e magliari, manager e pizzaioli, ingegneri, attori, professori, registi, giornalisti. C’è chi va ma non vorrebbe, chi va per restarci e ci resta, chi non ce la fa e ritorna.
Si è detto che i napoletani non emigrano, bensì colonizzano. Ce la vogliamo raccontare così perché fa meno male. Chiedete loro se tornerebbero a parità di condizioni economiche lavorative e sociali (ospedali, trasporti, opportunità).
Chiedete: anche il (la) più superficiale con la sua risposta vi insegnerà qualcosa.
In questi anni, il lunedì mattina, un numero crescente di persone nel loft milanese o nello splendido ufficetto romano ti rivolgono la frase che strofina sale sulla ferita: «Ma sai che sono stato a Napoli nel weekend, è veramente bellissima?».
E lo so, io in quei vicoli ci sono nato.
La conosce tutto il mondo, ma non sanno la verità.
Sapete qual è la vera differenza fra gli scudetti del 1987 e del 1990 e quello conquistato nell’anno 2023? La piazza che oggi festeggia a Napoli è multietnica, ancora più bella.
Ci sono i napoletani di seconda generazione, figli di asiatici, sudafricani e magrebini, est europei, ci sono donne e uomini arrivati da poco che hanno trovato nella fiumana azzurra un modo per guadagnare un po’ con gadget e maglie.
Anche la squadra vincitrice del tricolore è mille identità: oltre agli italiani ci sono dieci calciatori europei, quattro sudamericani, tre africani, uno asiatico.
«L’hanno detto festeggiamo, siamo contenti, ma mille problemi da millenni si affacciano su Napoli, non li dimentichiamo?».
Massimo Troisi, intervista a Gianni Minà, scudetto del 1987
Sapete, la sospensione dell’incredulità non è qualcosa che riguarda soltanto le serie tv su Netflix.
Una bellissima zona di Napoli fu battezzata Pausilypon, «pausa dal dolore».
Forse gli antichi Greci avevano già capito che questa sarebbe stata una città che s’adombra, ogni tanto necessitante d’una tregua dal pericolo imminente, ogni tanto in obbligo di riposare da questa spasmodica ricerca di un accadimento straordinario.
La pausa è arrivata. E dunque godiamocela, tifosi o no, residenti o no, quest’idea che scendere con una maglia azzurra affratelli, accomuni, unisca tutte e tutti, senza distinzione.
In lingua urdu la parola «naz» è la sicurezza e al tempo stesso l’orgoglio di sentirsi amati incondizionatamente a questo mondo.
Oggi Napoli è amore incondizionato. Basta solo credere che sia vero.