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Morto nell’incendio del garage a Napoli, il figlio: “Lavorava lì da 20 anni, non era un senzatetto”

Antonio Sibilio ha raccontato che il padre, Domenico, vittima dell’incendio nel garage in piazza Carità, si trovava lì per lavoro. Le cause del rogo da definire, ipotesi corto circuito.
A cura di Nico Falco
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Immagine di repertorio
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Domenico Sibilio, il 66enne morto a causa dell'incendio divampato in un garage in piazza Carità, nel centro di Napoli, non era un senzatetto che aveva cercato riparo dal freddo nell'attività, ma lavorava lì da oltre venti anni. A raccontarlo è il figlio, Antonio Sibilio, che ha voluto fare chiarezza in merito alle indiscrezioni circolate dopo il ritrovamento del corpo, avvenuto all'alba di domenica 7 gennaio.

Sulla vicenda la Procura di Napoli ha aperto un fascicolo, le indagini sono coordinate dalla procuratrice aggiunta Simona Di Monte e delegate alla Polizia di Stato. L'incendio era scoppiato in piena notte, per cause che restano da accertare; tra le ipotesi, quella di un corto circuito alle casse automatiche. Secondo la ricostruzione su cui stanno lavorando gli inquirenti Sibilio sarebbe stato sorpreso dal fumo mentre si trovava all'interno del garage.

Il corpo è stato trovato quando i Vigili del Fuoco hanno spento le fiamme; non presentava segni di ustioni, il che farebbe ipotizzare che sia morto per asfissia. Il garage è stato sequestrato e la salma nei prossimi giorni dovrà essere sottoposta all'autopsia per accertare le cause della morte.

Il figlio della vittima potrebbe essere sentito nelle prossime ore dagli agenti, anche per fare luce sulla posizione lavorativa dell'uomo e capire se fosse inquadrato regolarmente o se, e da vent'anni, lavorasse in nero. Ai microfoni del Tgr Campania, raggiunto telefonicamente, il giovane ha spiegato:

Mio padre non era un senzatetto, ma un onesto lavoratore. Per me e per la nostra famiglia, leggere le ricostruzioni delle ultime ore ha aggiunto solo dolore e rammarico alla sofferenza che già viviamo. Con il massimo rispetto per chi vive in strada, definirlo clochard è un oltraggio alla sua memoria

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