È morto in carcere Cosimo Di Lauro, il boss di Secondigliano figlio di Ciruzzo ‘o milionario
Il boss Cosimo Di Lauro è morto lunedì 13 giugno 2022, in carcere a Milano. Di Lauro, nato a Napoli nel 1973, primo figlio di Paolo di Lauro, alias Ciruzzo ‘o milionario, era detenuto dal 2005 nella casa di reclusione di Opera in regime di carcere duro (il cosiddetto 41bis), da quando fu arrestato nel corso della prima faida di Scampia a Napoli. Parliamo, per intenderci, della guerra criminale tra i fedelissimi del clan Di Lauro e i cosiddetti "Scissionisti" (o "Spagnoli"), guidati dal cartello Amato-Pagano, scatenata per il controllo delle piazze di spaccio.
Decesso e causa della morte di Cosimo Di Lauro
La notizia del decesso è stata comunicata alle ore 7.10 all'avvocato difensore dell'uomo, Saverio Senese, via Pec, posta certificata. Epigrafica la nota dalla direzione del carcere: «Suo assistito è deceduto». Non si conoscono al momento le cause esatte e le circostanze che hanno portato alla morte del rampollo della famiglia criminale di Napoli Nord. È stata disposta l'autopsia, com'è prassi in questi casi. L'ipotesi di reato è omicidio colposo. A quanto si apprende, sul corpo del deceduto e in cella non sarebbero stati trovati segni evidenti o elementi che possano allo stato far ipotizzare un suicidio o una morte violenta, dunque si propende per cause naturali. L'autopsia è prassi in casi del genere: fu disposta anche dopo la morte di Raffaele Cutolo, lo storico capo della Nuova Camorra Organizzata, deceduto in carcere a Parma nel febbraio 2021.
Gli avvocati sospettavano avesse turbe psichiche
Cosimo Di Lauro aveva 49 anni ed era recluso per associazione mafiosa (416 bis) e omicidio, con condanne passate in giudicato. La difesa ha fatto sapere di aver chiesto più volte una perizia sul suo assistito per sospette turbe psichiche. L'avvocato Senese, sostiene che il suo cliente avesse uno stato mentale compromesso da tempo: non partecipava agli incontri e rifiutava le notifiche giudiziarie per ulteriori procedimenti. Le istanze finalizzate ad una perizia per valutare la sua capacità di intendere e di volere sono sempre state rigettate, ritenute frutto di simulazione.
Nel 2018, gli avvocati Senese e Salvatore Pettirossi avevano chiesto ai giudici della terza Corte d'Assise di Napoli di «sospendere il giudizio e di disporre una perizia psichiatrica» per accertare «le condizioni di salute psicofisica» e la capacità «di stare coscientemente al processo». «Assume dosi massicce di psicofarmaci somministrati da anni come a un paziente psichiatrico», scrivevano.
A quanto apprende Fanpage.it anche a Secondigliano, nella zona di via Cupa dell'Arco, lì dove i Di Lauro avevano il quartier generale delle loro attività criminali, da mesi girava insistente voce di un precario stato di salute dell'uomo detenuto ormai da 17 anni.
Di Lauro, famiglia e clan a Secondigliano
La famiglia Di Lauro, da cui prende il nome dell'omonimo clan per decenni egemone a Secondigliano e gerente delle piazze di spaccio di Scampia, è piuttosto numerosa. Sono infatti 10 i figli – tutti maschi – del capostipite della famiglia Paolo, molti dei quali oggi detenuti: Cosimo (morto oggi), Vincenzo, Ciro, Marco Nunzio, Salvatore, Domenico, Antonio, Raffaele, Giuseppe e Luigi. Le forze dell'ordine classificavano i figli di Di Lauro con le F e un numero progressivo (F1, F2, F3 eccetera). Nel 2019 particolare clamore ebbe l'arresto del fratello di "Cosimino", ovvero Marco Di Lauro, superlatitante di camorra, rimasto latitante per ben 14 anni.
La figura di Cosimo Di Lauro ispirò Genny in Gomorra
La figura di Cosimo, figlio di "Ciruzzo ‘o milionario", superboss dell'area Nord di Napoli e capo del cartello criminale di Scampia e Secondigliano, aveva ispirato il personaggio di Genny Savastano nella serie televisiva "Gomorra". Punti di concordanza fra il reale e il personaggio: nella sceneggiatura Genny è grosso di corporatura; Cosimo in età adolescenziale era soprannominato ‘o chiatto, ovvero il grassone, mentre in età adulta per la sua andatura era stato ribattezzato ‘o zuoppo, lo zoppo. A lui piaceva il nomignolo ‘The designer don". Poi, il diverso atteggiamento caratteriale rispetto al padre capo-clan silenzioso e scaltro; infine la poca "accortezza" nel gestire il potere e i conflitti interni al sodalizio criminale, uno dei più potenti del Sud Italia per capacità economica, per numero di piazze di spaccio e per volume di attività, sia nell'acquisto della merce dai paesi sudamericani che nello smercio al dettaglio.
L'arresto di "Cosimino" a Secondigliano
L'arresto di Cosimo fu, anche dal punto di vista "scenico", d'impatto. Il camorrista fu ammanettato al Terzo mondo di Secondigliano. Per impedirne la cattura contro le forze dell'ordine ci fu anche un lancio di oggetti dai balconi. All'uscita della caserma dei carabinieri Cosimo Di Lauro fu immortalato con un giaccone di pelle stile Brandon Lee ne "Il Corvo", i capelli lunghi tirati indietro. Sicuramente un uomo che non passava inosservato, a differenza del padre Paolo, ossessionato invece dal voler sembrare un uomo qualunque, un volto dimenticabile, avverso all'uso del telefono per paura di intercettazioni, perfino fautore di una specie di "codice di condotta" del clan, per evitare dissidi interni. Quando Paolo Di Lauro fu catturato, nel 2005, tenne la testa chinata per evitare i flash dei fotografi, mentre qualche mese prima Cosimo li sfidò quasi, guardando dritto in faccia gli obiettivi pronti al clic.
Dal punto di vista del ‘peso' nella camorra di Secondigliano il ruolo di Cosimo fu cruciale: era considerato spietato. Anni dopo, il pentito Salvatore Tamburrino, uomo di fiducia di Ciro e Marco Di Lauro, ebbe a testimoniare, parlando di un omicidio:
Cosimo non si lamentò affatto della circostanza che fosse stata uccisa in quell'evento una seconda persona perché era il periodo in cui più persone si uccidevano più Cosimo era contento…
Cosimo Di Lauro e la prima Faida di Scampia
Il ruolo di "Cosimino" fu, secondo gli inquirenti, determinante per lo scoppio della Prima Faida di Scampia, che insanguinò Napoli e provincia nei primi anni duemila. La guerra, hanno ricostruito gli investigatori, fu la conseguenza della decisione del boss che, una volta prese le redini del clan, sostituì gran parte del gotha del clan con affiliati di propria fiducia. Da qui la scissione, che portò alla nascita degli “Spagnoli”, gli Amato-Pagano, e la faida che si tradusse in decine di morti.
Gli omicidi e il caso di Gelsomina Verde
Nel marzo 2022 Cosimo Di Lauro è stato condannato all’ergastolo per gli omicidi di Raffaele Duro e Salvatore Panico (22 gennaio 2004 a Mugnano) e per quello di Federico Bizzarro (27 aprile 2004 a Qualiano; il figlio di Ciruzzo ‘o milionario è stato ritenuto mandante). Il 13 dicembre 2008, l'omicidio che è rimasto nella memoria come simbolo della ferocia di quegli anni: Gelsomina Verde. Mina, così la chiamavano gli amici e i parenti, fu ammazzata per un solo motivo: fu ritenuta "colpevole" di essere fidanzata con un affiliato passato dalla parte degli Scissionisti. Il suo corpo fu bruciato in un'auto. Di Lauro jr. fu condannato in primo grado quale mandante dell'orribile fatto, poi assolto in Appello nel 2010. Di Lauro figlio non ammise le sue responsabilità nel delitto, ma risarcì la famiglia con la somma di 300mila euro.
Le reazioni al decesso di Di Lauro jr.
Tra le reazioni c'è quella dello scrittore Roberto Saviano che col suo "Gomorra" ha portato all'attenzione nazionale e internazionale le vicende di Secondigliano:
Cosimo non si sentiva niente, e per questo volle prendersi tutto. Comandò tre anni. Tre anni di sangue e torture. Riuscì a smantellare un'organizzazione strutturata come un congegno ad orologeria. Regnò con assoluta spietatezza colpendo parenti, cugini, fidanzate dei nemici. Voleva che il suo soprannome da “'o Chiattone” diventasse “The Designer Don”. Don non lo divenne mai.
È morto oggi, solo, disperato, letteralmente impazzito in una cella. Avrebbe potuto provare a redimersi, ma non voleva pentirsi. Non voleva essere il primo della famiglia a farlo. Tutti l’hanno tradito, lui ha tradito tutto.Questa la vita di un camorrista. Non riposare in pace nemmeno dopo morto.
Duro anche padre Maurizio Patriciello, parroco anti-clan del parco Verde di Caivano:
È morto. Solo. Dopo 17 anni di carcere duro. Era ancora giovane. È morto. Senza un conforto. Senza una carezza. Senza una preghiera. È morto come un miserabile. Eppure fu ricchissimo. Si chiamava Cosimo Di Lauro. Fu un camorrista spietato, vigliacco, sanguinario. Un vero terrorista. Nessuno mai lo amò. Nemmeno i genitori. Nemmeno i suoi fratelli. Suo padre firmò la sua condanna a morte. Giovani camorristi, fermatevi. Riflettete. Tornate indietro. Pentitevi. Godetevi la vita.
Il fantasma di Cosimo Di Lauro vi tolga la pace e il sonno. Fratello Cosimo, so che tanti ti augurano l’inferno. Io, povero prete, ti affido alle mani del buon Dio. Che abbia pietà di te e della tua vita scellerata. E abbia pietà di noi, costretti a convivere con chi, come te, ha insanguinato e insanguina la nostra terra generosa e bella.
(articolo aggiornato 14 giugno ore 11.30)