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Caivano, la morte di Maria Paola Gaglione

Morte Paola: Ciro o Cira? L’ignoranza delle parole è la migliore alleata della violenza

Un paese di giornalisti e comunicatori h24, che non sa se chiamare Ciro o Cira il compagno di Paola Gaglione, è un paese ignorante. Quest’ignoranza abita l’altro lato della medaglia, dove c’è la violenza da cui è nata questa storia, una soffocante alleanza che testimonia la deriva culturale nel nostro Paese.
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Un paese di giornalisti e comunicatori h24, che non sa se chiamare Ciro o Cira, il compagno di Paola Gaglione, morta dopo essere stata speronata da suo fratello Michele, è un paese ignorante. Che ignora, letteralmente, perché "non sa, non conosce" come da definizione del verbo ignorare nel dizionario Treccani. Un paese del genere è un paese a cui mancano le parole adatte, a cui manca la sensibilità, a cui manca tutto. Quest'ignoranza è l'altro lato della stessa medaglia, dove convive con la terribile violenza da cui si è generata questa vicenda, in una sorta di soffocante alleanza tra la violenza arcaica che giace nelle piaghe più marginali del nostro Paese e il pressappochismo, la superficialità, la mancanza di esperienza e, ancora una volta, l'ignoranza di chi è chiamato a raccontarla. Un patto di ferro mefitico che testimonia la rovina culturale e sociale di questo Paese, un pilastro di quel fascismo eterno raccontato da Umberto Eco e che andrebbe abbattuto.

Se una persona ha deciso di chiamarsi Ciro, è così che dovremmo chiamarla tutti.

Sarebbe semplice puntare il dito contro il sistema giornalistico e finirla lì, basterebbe chiedersi quante persone trans scrivano sui principali giornali italiani o quante conducano un programma televisivo. Di solito questo è il momento in cui i soliti – maschi, bianchi, benestanti, over 50 – intervengono per raccontarci che, al contrario, la"cricca omosessuale" è ampiamente al potere, che la "mafia gay"  imperversa nei centri di potere fondamentali del nostro Paese. Lasciamo per il momento questa visione complottistica, frutto di un evidente bias cognitivo, ai deliri di chi il potere ce l'ha e se lo tiene stretto. D'altro canto non sappiamo nemmeno, al di là delle ricostruzioni giornalistiche, come si è svolta nei dettagli questa storia. Ci sono delle indagini in corso, probabilmente ci sarà un processo e infine delle condanne che ci racconteranno cosa è realmente accaduto. Stop.

La verità è che il tema oggi è un altro. Le parole. Sapere cosa significano, come vanno usate, conoscerle, smettere, una buona volta, di ignorarle. Smettere di derubricare ogni tentativo di portare contenuti di uguaglianza e anti-discriminatori ad apologia del politically correct. Nessuno pretende di normare le quote riservate alle minoranze (come ha fatto Hollywood con le nomination ai film che concorreranno al Premio Oscar), né di inventarsi astuzie linguistiche (anche se il tema di come una lingua possa evolversi è importante e merita approfondimento), eppure oggi è più fondamentale che mai iniziare a seminare un nuovo linguaggio, a formare dei cittadini rispettosi delle diversità, a selezionare personale giornalistico, scolastico e istituzionale in grado di parlare una nuova lingua. Una lingua che non sia mai più alleata alla violenza brutale e primitiva degli uomini.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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