Morte Maria Paola Gaglione, respinto il ricorso del fratello. Confermata la condanna a nove anni e sei mesi
Ciro e Paola viaggiano insieme in sella a uno scooter la notte tra l'11 e il 12 settembre 2020. Sono giovani, innamorati e nel pieno di una decisione importante: Paola voleva aiutare Ciro nel suo percorso di transizione. La giovane, che aveva appena 18 anni, finì violentemente con la testa contro un tubo di irrigazione cadendo dal motorino guidato da Ciro ad Acerra.
Inizialmente a tutti sembrò un incidente stradale. Dopo poco le indagini evidenziarono che l'incidente era avvenuto nel corso di un inseguimento con il fratello della giovane in sella a un altro motorino. Michele Antonio Gaglione è stato successivamente ritenuto responsabile della morte di sua sorella e condannato a 9 anni e 6 mesi di carcere. Due giorni fa è stato rigettato il ricorso per cassazione presentato dall'avvocato di Gaglione. È stata quindi di fatto confermata la condanna a 9 e 6 mesi per omicidio preterintenzionale per la morte di Paola e lesioni aggravate nei confronti di Ciro Migliore.
Poche ore dopo la morte della sua fidanzata, fu proprio Ciro a raccontare alcuni dettagli di quei momenti. Lo fece su una sedia a rotelle, in ospedale, davanti a diversi giornalisti con il solo intento di difendere la sua relazione con la ragazza. "Io e Paola eravamo amici, poi abbiamo capito con il tempo che non era più un amicizia ma amore. Mi disse che mi amava". In quel luogo Ciro raccontò degli ostacoli incontrati per stare con la giovane. E di quanto il fratello di Paola osteggiasse il loro amore, nato a Caivano.
L'avvocato Giovanni Paolo Picardi, che ha assistito Ciro Migliore per la parte civile del processo, sottolinea a Fanpage.it come "il grande sconfitto di questa vicenda sia l'amore tra due persone che stava invece vincendo su tutto. Sul degrado del luogo in cui vivevano, sul disagio economico, sulle resistenze della famiglia. Oggi quell'amore è stato riconosciuto anche dalle sentenze di un tribunale". A sostenere Ciro nel suo percorso, dai primi momenti, c'è stata anche Daniela Falanga.
"Avevamo ragione e dovevamo intervenire. Lo si può confermare inequivocabilmente. Si chiude un grave capitolo della storia della mia presidenza ad Antinoo Arcigay Napoli. Si tratta di uno dei fatti di cronaca più gravi, in merito alla popolazione LGBT, a cui l’Italia abbia assistito, e il mio intervento fu cruciale per definire la pista a sfondo transfobico. Non lasciai un solo momento Ciro, annientato, allora, dalla morte di Maria Paola e dall’atteggiamento immediatamente ostracista di media e personaggi di potere di Caivano. Noi eravamo parte civile e abbiamo difeso Ciro senza tregua, e la memoria di un amore drammaticamente mutilato per ragioni chiarite. Ormai siamo sul territorio e restiamo fermi nell’idea di presiederlo con qualsiasi azione possa neutralizzare una cultura violenta, sessista ed eteropatriarcale. Possiamo rispondere, in maniera definitiva, pure a chi, in tono paternalistico, ha deliberatamente voluto sminuire il portato omotrasfobico della vicenda".