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Morte Lino Apicella, il 7 giugno la sentenza. Procura chiede ergastolo, per difesa è omicidio stradale

Lunedì 7 giugno ci sarà il verdetto per la morte del poliziotto Lino Apicella, ucciso da una banda di criminali in fuga che, dopo un tentato furto in banca, si sono schiantati contromano sulla sua automobile. Per la Procura e per l’avvocato della moglie è stato omicidio volontario, è stato chiesto l’ergastolo; la difesa, invece, sostiene che i tre abbiano cercato di evitare lo schianto, puntando quindi a una condanna per omicidio stradale.
A cura di Nico Falco
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Lunedì 7 giugno sarà il giorno della sentenza di primo grado per la morte di Pasquale Apicella, l'agente della Polizia di Stato deceduto poco più di un anno fa a Napoli, quando un'Audi Rs6 con a bordo una banda di rapinatori si è schiantata contro l'automobile di servizio per sfuggire a un'altra pattuglia. Il processo si tiene davanti alla Corte di Assise di Napoli. Tutto ruota intorno a quell'impatto, alla volontarietà o meno dello scontro, che cambia la qualificazione giudica. Per la Procura è stato volontario: il pm ha chiesto l'ergastolo per i tre imputati. Per la difesa, invece, si è trattato di uno schianto non voluto, dopo un estremo tentativo di evitarlo: omicidio colposo, in questo caso omicidio stradale, pena massima 10 anni.

La morte del poliziotto Lino Apicella a Napoli

È la notte del 27 aprile 2020. Pasquale Apicella, per tutti Lino, 37 anni, in servizio nel commissariato di Secondigliano, è di pattuglia insieme a un collega. I due stanno intervenendo in supporto di un'altra pattuglia, che sta inseguendo una banda di criminali in fuga dopo un tentativo di furto in una banca di via Abate Minichini. Si scoprirà poi che è stato il secondo tentativo in pochi minuti: prima hanno tentato di entrare in una filiale di Casoria. L'impatto mortale in Calata Capodichino: la volante di Apicella si è trova faccia a faccia con l'Audi che procede ad altissima velocità, contromano, a fari spenti, accelera fino a 150 chilometri all'ora.

Nello schianto Lino muore sul colpo, il collega rimane ferito. Anche l'altra automobile è ridotta a un cumulo di rottami; due dei criminali vengono bloccati subito, rimasti incastrati tra le lamiere, il terzo viene rintracciato poche ore dopo e viene identificato anche il quarto, che il gruppo ha lasciato a piedi davanti alla banca per scappare. Per tutti l'accusa è di omicidio volontario, fatta eccezione per l'ultimo, invece accusato di favoreggiamento e la cui posizione viene stralciata e trattata in un processo a parte con rito abbreviato.

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Processo per la morte di Apicella: difesa chiede omicidio stradale

Alla sbarra ci sono Fabricio Hadzovic, 40 anni, che era alla guida dell'Audi Rs6, Admir Hadzovic, 27 anni, Igor Adzovic, 39 anni, tutti residenti nel campo rom di Secondigliano, così come il quarto. Il nodo della volontarietà dello schianto è fondamentale, è l'aspetto determina se si è trattato di omicidio volontario (con dolo eventuale) o colposo, vale venti anni di carcere di differenza. Dalle indagini è emerso che, durante la fuga, il gruppo ha lanciato contro la prima pattuglia degli arnesi e anche una ruota di scorta per cercare di mandarla fuori strada, i testimoni raccontano che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati, l'Audi non ha cercato di evitare l'impatto.

"Tutti gli elementi emersi in sede dibattimentale non evocano alcun dubbio sulla sussistenza del dolo eventuale, in quanto gli imputati hanno accettato non solo la situazione di pericolo, avendo come finalità principale di sfuggire alla cattura da parte della Polizia, ma hanno anche voluto l'evento morte, non avendo attuato alcuna manovra elusiva alternativa – sottolinea l'avvocato Gennaro Razzino, che assiste Giuliana Ghidotti, la moglie di Lino Apicella, parte civile nel processo – mentre la difesa dice che loro hanno cercato di schivare la pattuglia, i testimoni ascoltati e anche il nostro perito sostengono che hanno accelerato e che non hanno fatto nulla per evitarla".

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