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Le minacce della camorra a Capacchione e Saviano furono una strategia del boss Bidognetti

“Agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan dei Casalesi e rafforzarne il potere”: secondo le motivazioni della sentenza per le minacce a Rosaria Capacchione e Roberto Saviano, le frasi sottoscritte dal boss Bidognetti e pronunciate in aula dal suo avvocato durante un processo furono frutto di una lucida strategia intimidatoria.
A cura di Redazione Napoli
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Furono minacciati in un'Aula di Tribunale per bocca di un avvocato, finirono sulle prime pagine dei giornali, divennero dimostrazione di come la camorra dei Casalesi riuscisse a penetrare perfino nelle stanze della Giustizia, intimidendo quei giornalisti e scrittori che giorno dopo giorno raccontano l'avanzare delle mafie.

Rosaria Capacchione e Roberto Saviano erano già da prima sotto scorta ma da allora il livello di protezione fu aumentato e le loro vite ulteriormente stravolte. Da quel processo d'Appello del 2008, da quelle minacce pronunciate dall'avvocato Michele Santonastaso e sottoscritte dal suo cliente, il boss del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti, la loro vita fu ancora più difficile.

Nello scorso mese di maggio è arrivata la condanna: a un anno e sei mesi il boss, un anno e due mesi l'avvocato, con le accuse di minacce aggravate dal metodo mafioso. Oggi ci sono le motivazioni della sentenza che confermano quanto si sospettava: quelle minacce non furono un momento d'ira, non furono parole male interpretate bensì una strategia ideata dal boss casalese «il cui interesse era quello di agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan e di rafforzarne il potere». Come parte civile sono nel processo sono state presenti sia la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata dall'avvocato Giulio Vasaturo che l'Ordine dei giornalisti della Campania.

Scrivono i giudici della IV Sezione penale del tribunale di Roma in un passo delle motivazioni della sentenza del 24 maggio:

La condotta ascritta ai due imputati è inserita nel contesto di criminalità organizzata proprio della cosca di cui Bidognetti era capo. La minaccia e l'intimidazione rivolta platealmente contro i due giornalisti fu espressione di una precisa strategia ideata dallo stesso capomafia.

Le frasi pronunciate e il contesto in cui furono pronunciate consente senz'altro di ritenere integrato il reato di minaccia avendo le stesse una chiara attitudine a intimorire.

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