Come ci ricorda l’antico adagio e come spesso ancora capita nella vita, tra i due litiganti c’è sempre un terzo che gode molto più degli altri. È il caso pratico del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi che, con particolare acume politico sul quale pochi avrebbero scommesso dopo il suo arrivo a Palazzo San Giacomo, si è infilato "tomo tomo, cacchio cacchio" tra l’incudine e il martello. Solo che invece di restarne schiacciato, imprevedibilmente si sta prendendo uno spazio di autorevolezza e di visibilità, innanzi tutto a discapito del governatore campano che da dieci anni a questa parte ha marginalizzato tutte le altre leadership locali.
Il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca da diversi mesi porta avanti, perseguendo un legittimo interesse politico-istituzionale, una disputa con il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Una contrapposizione che ha conosciuto episodi e momenti molto aspri, tanto che più volte le parole e gli atteggiamenti, in particolare da parte di De Luca, sono andati oltre le più elementari regole del bon ton.
Solo che, se da un lato questo stato di conflittualità strisciante e permanente ha consentito al governatore di accreditarsi come la voce meridionale più ascoltata tra quelle che si oppongono alle scelte della Meloni e del suo governo, dall’altro ha costretto questi ultimi a dover rompere l’assedio deluchiano cercando e promuovendo delle sponde istituzionali che potessero contrastare la via isolazionista imboccata da Palazzo Santa Lucia. È in questa ricerca l’unica soluzione possibile, potremmo dire obbligata era dialogare con il primo cittadino di Napoli. Anche perché è fuor di dubbio il peso politico, simbolico, sociale e culturale della città capoluogo rispetto non solo all’intera regione, ma anche all’intero meridione.
Qui per la verità, Vincenzo De Luca ha commesso due errori, anche grossolani: il primo di sottovalutazione del ruolo e della capacità di Manfredi di vivere politicamente di vita propria, il secondo di presbiopia nella lettura generale del contesto che pensava di presidiare. Infatti, più alzava i toni della polemica contro i vari ministri del governo e poi contro la stessa Meloni, tanto più faceva involontariamente crescere l’appeal verso il sindaco di Napoli.
Quest’ultimo è stato bravo, scaltro e anche fortunato, qualità da sempre non secondaria nei percorsi politici degli individui, a rimanere semplicemente al suo posto, cioè non si è fatto ingolosire né dal ruolo di prima spalla del presidente della Regione, né da quello di cantore della contro-narrazione deluchiana. Lo spazio non doveva cercarselo per forza perché sono stati gli altri, per ragioni diversi, a servirglielo su un piatto d’argento.
Insomma, il finto immobilismo di Gaetano Manfredi, fatto da lievi e sporadici distinguo, segnato da aperture silenziose imposte da un ossequio ai doveri istituzionali, hanno consentito all’ex rettore della Federico II di portare a casa risultati non banali, di ritagliarsi un ruolo credibile di interlocutore, all’interno del suo partito e nei confronti del governo, che potrebbe nel prossimo futuro rivelare nuove sorprese.