Martina, infermiera ricoverata con il booster: “Senza il vaccino non avrei sconfitto il Covid”
Martina Soligno ha 29 anni e lavora come infermiera pediatrica all'ospedale Monaldi di Napoli. Ha vissuto in prima linea la pandemia di Covid 19. Quando la incontriamo ha da poco ricevuto l'esito negativo del tampone. Martina infatti pur essendosi sottoposta al booster, la terza dose del vaccino a inizio dicembre, non solo è risultata positiva al Covid, ma è anche finita in ospedale. La sua storia può sembrare incredibile e invece, come spiega a Fanpage.it, è la testimonianza che «il vaccino mi ha salvato la vita».
A dicembre inizia a presentare sintomi che sembrano ricondurre al Covid. Martina ne è quasi certa, poco prima è risultata contatto di positivo. Tosse fortissima, febbre e altri segnali la convincono ad andare al pronto soccorso del Cotugno, dove viene sottoposta a tampone. Incredibilmente però, risulta negativa. Viene dimessa, poiché l'ospedale infettivologico è stato totalmente convertito alla cura del coronavirus e la sua patologia, il batterio haemophilus influenzae, può essere curata a casa con una terapia antibiotica. Quando il suo organismo sembra iniziare a rispondere alle cure, la famiglia di Martina contrae il Covid, contagiandola. Il virus, come spiega, «trova terreno fertile in un corpo già debilitato». Martina inoltre era già stata sottoposta ad accertamenti più approfonditi perché a soli 13 mesi è stata operata al cuore per un difetto congenito.
«Finisco in ospedale lasciando mamma e papà a casa positivi. La prima scena che vedo davanti ai miei occhi è di un signore anziano che entra sulla sedia a rotelle accompagnato dal figlio che lo abbraccia. Io mi ricordo che ero in lacrime, perché ero terrorizzata e non ebbi neanche il coraggio di chiamare mia madre. Ero una delle poche vaccinate ricoverata perché per la maggior parte i pazienti presenti erano non vaccinati». Martina viene ricoverata per 8 giorni nel reparto Obi del Cotugno, ovvero il reparto di osservazione breve intensiva. Qui viene curata e accudita, racconta, da quelli che fino a pochi istanti prima erano colleghi di trincea. «Sicuramente il fatto che io abbia contratto un'infezione batterica e successivamente il Covid, mi ha esposto a un grosso rischio che si è abbassato notevolmente avendo io le tre dosi di vaccino. Senza il vaccino io non ti so dire sinceramente il mio corpo come avrebbe reagito, soprattutto nelle condizioni in cui stavo a dicembre».
Durante il ricovero Martina, che è al secondo anno di un corso di laurea magistrale, continua a studiare, quando può. Perché fare l'infermiera pediatrica per lei è più di una semplice scelta lavorativa. Durante l'intervista tra le mani custodisce una foto di lei da bambina, al mare. All'altezza dello sterno si distingue chiaramente una cicatrice che è impossibile non notare. «Quando ero piccola non la accettavo tanto perché vedevo gli altri che non ce l'avevano e che io avevo questo segno, anche abbastanza brutto. Quando sono cresciuta invece l'ho ritrovato come un valore aggiunto, non dico che sia un mio segno distintivo, ma è la mia storia». Quella di Martina è una storia di restituzione, come lei stessa ama definirla. A soli 13 mesi era stata infatti sottoposta a un delicato intervento al cuore dal dottor Carlo Vosa che «ho sempre sperato di poter ringraziare, senza mai riuscirci». Oggi lavora nello stesso reparto dell'ospedale che l'ha salvata, il Monaldi. «Un posto a cui devo tutto e non è un posto che penso di aver scelto. È il posto che ha scelto me, penso mi sia stato cucito addosso molto prima di quanto io potessi capire. Era una restituzione di quello che io avevo avuto».