La mamma fu uccisa a 25 anni dall’ex compagno. Ora Martina Floriano parla alle studentesse di Giurisprudenza: “Amate voi stesse”

All’Università Vanvitelli incontro con Martina Floriano, figlia di Valentina Colella uccisa da Carlo Emanuele Caliman nel 2011: “Incontrerei l’assassino di mia madre. Ma senza dirgli nulla”
A cura di Redazione Napoli
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Da sinistra Martina Floriano e la madre Valentina Colella, vittima di femminicidio
Da sinistra Martina Floriano e la madre Valentina Colella, vittima di femminicidio

Spigno Saturnia, in provincia di Latina. È il 15 marzo 2011. Valentina Colella, 26 anni, viene ammazzata con due colpi di pistola Beretta calibro 9×21 da Carlo Emanuele Caliman, detto "il prete", allora agente della Polizia provinciale, che non accettava la rottura della relazione. Caliman nei verbali di interrogatorio dirà: «Valentina voleva sposarsi con me mentre io volevo convivere e inoltre Valentina mi aveva detto di aver saputo da altre persone che io l’avevo tradita».

Sono passati dodici anni da quella tragedia enorme. Siamo nel 2023, oggi non si fa che parlare di un altro femminicidio, quello di Giulia Cecchettin. E un'altra donna, un'altra giovane donna, di 19 anni, è seduta fra altre ragazze in un'aula universitaria. Sorride anche se è malinconica quando racconta. Si chiama Martina Floriano ed è la figlia di Valentina Colella. Ha scelto di parlare coi ragazzi come lei – anche Martina studia Giurisprudenza –  di ciò che è accaduto. Lo fa  a Palazzo Melzi a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, sede della facoltà di Giurisprudenza dell'Ateneo "Luigi Vanvitelli", in un'aula gremita:

Il mio desiderio più grande è di incontrare l'assassino di mia madre e presentarmi, dirgli che sono la figlia della donna che ha ucciso, e poi andarmene senza dire nulla, senza rabbia, perché consuma solo chi la prova. E poi con me mia madre c'è sempre. Mi sento finalmente viva, anche perché ho sempre con me la luce di mia madre

Caliban dopo 6 anni di carcere è uscito e fa il docente, dice Martina. Che racconta ciò che determinò quella tragedia nella sua vita:  prima bimba in cura psicologica per il trauma, poi sballottata da una casa famiglia al padre violento da cui è fuggita. E oggi «con con sogni e ambizioni come li aveva mia madre». «La mia famiglia ne è uscita divisa, ognuno si è chiuso in un suo mondo di dolore».

Alle colleghe universitarie dice:

Amate voi stesse, sforzatevi di capire il valore che avete e che nessuno vi può togliere, perché sono così capirete cosa è giusto o sbagliato. Mia madre l'aveva capito quando ha deciso di interrompere la relazione con l'ex, che la voleva sempre in minigonna e tacchi a spillo; mia madre voleva concentrarsi su di me, aveva anche lasciato l'Università per me, ma non ce l'ha fatta a realizzare il suo sogno.

Inoltre non abbiate paura né vergogna di confidare ciò che vi accade, denunciate perché chi vi fa del male non vi ama. Le donne non sono una cosa da possedere, peraltro che gusto c'è nel possesso? Noi donne percepiamo una carezza o un bacio dati per vero amore. State attenti alle parole, perché anche quelle fanno molto male.

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