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Campi Flegrei

L’ultima eruzione dei Campi Flegrei del 1538 che diede origine a Monte Nuovo: cosa accadde nei racconti dell’epoca

L’eruzione dei Campi Flegrei del 1538 è una delle meglio documentate della storia: cosa accade il 29 settembre 1538. Durò una settimana e nacque il Monte Nuovo.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Il Monte Nuovo nato dopo l'eruzione del 1538
Il Monte Nuovo nato dopo l'eruzione del 1538
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L'eruzione dei Campi Flegrei del 1538 è uno degli eventi più noti dell'area e anche uno dei meglio documentati. Si tratta di una eruzione che durò una settimana e che, oltre a cancellare il villaggio di Tripergole, formò l'attuale Monte Nuovo, ed è stata anche l'ultima eruzione all'interno della grande caldera dei Campi Flegrei La sua importanza risiede nel fatto che fu particolarmente ben documentato, al punto che ancora oggi si possono studiare modelli che partono proprio da quel fenomeno. L'eruzione, seppure limitata nel raggio d'azione, fu particolarmente "attenzionata" anche nei secoli successivi, soprattutto dai residenti in zona che, del resto, conoscevano bene l'attività sismica dei Campi Flegrei, mai interrotta del tutto. Dopo l'eruzione del 1158 avvenuta alla Solfatara di Pozzuoli, l'area visse principalmente un periodo di relativa quiete, seppur con fenomeni di bradisismo e di scosse continue. Dell'eruzione del 1538 si è tornato a parlare nel recente periodo come uno dei possibili scenari per l'area flegrea.

I preamboli dell'eruzione

L'attività sismica dei Campi Flegrei era nota già nell'antichità. Ma una serie di terremoti più violenti iniziò a verificarsi nella zona durante il Quattrocento, alcuni dei quali particolarmente brutali e con l'aumento del bradisismo. Dopo il 1511 i terremoti aumentarono ancora e, in particolare negli anni 1536-1537, ovvero il biennio prima dell'eruzione, i terremoti si avvertirono in tutta la provincia di Napoli compresa, sempre con epicentro Pozzuoli  affliggendo in modo particolare la città di Pozzuoli dove furono danneggiati seriamente numerosi edifici. Ed ancora, nei due giorni precedenti l'eruzione, i terremoti erano diventati continui seppure di bassa intensità, addirittura una ventina nella sola data del 27 settembre 1538, ovvero a poche ore dall'eruzione vera e propria.

Le prime esplosioni

Attorno a mezzogiorno di sabato 28 settembre, il mare si ritirò improvvisamente di quasi 400 metri, lasciando sulla riva i pesci agonizzanti. I pescatori ne furono felici perché ne raccolsero in enormi quantità senza sforzo e senza sospettare quanto stesse per avvenire. Il giorno dopo, domenica 29 settembre, alle prime luci del mattino alcuni agricoltori notarono un abbassamento del terreno nella zona tra il Monte Barbaro, l'Averno ed il mare di circa 4 metri: un avvallamento dal quale usciva un piccolo torrente di acqua. A mezzogiorno, nello stesso avvallamento, iniziò a formarsi un rigonfiamento del terreno, descritto dai testimoni dell'epoca come "un impasto che cresce". Su questo rigonfiamento nel corso della giornata si formarono diversi crepacci e, alla sera, si aprì la prima voragine.

Fu l'inizio dell'eruzione vera e propria, perché il rigonfiamento terreno collassò attorno alle 20 e formò una buca enorme dalla quale iniziarono a uscire fumo, fuoco e cenere, con diversi boati provenire dal sottofondo ad accompagnare il tutto. Nella notte, continuarono i terremoti e la pioggia di cenere, fango e pietre: a quel punto, fu il panico. In poche ore, là dove si trovava il villaggio di Tripergole, si forma quello che oggi è il Monte Nuovo. L'eruzione distrugge e cancella per sempre i resti della villa di Cicerone e delle Terme Romane che si trovavano nei pressi di una sorgente termale, mentre anche a Napoli scatta la paura: viene chiusa la strada che da Napoli porta a Pozzuoli dal viceré Don Pedro di Toledo, mentre i napoletani portano in processione il busto di San Gennaro per chiedergli di "risparmiare" la città.

La seconda fase eruttiva

Il terzo giorno l'eruzione inizia a placarsi: sparite le nubi, si vide per la prima volta il Monte Nuovo che si era formato nelle prime 48 ore di eruzione, e sul quale Pietro Giacomo da Toledo salì subito con alcuni uomini per osservare dalla vetta l'interno della caldera. Il quarto giorno, giovedì 3 ottobre, l'eruzione riprese in maniera brutale tra le 15 e le 16: la pioggia di pietre raggiunse perfino Nisida, avvicinandosi così al cuore di Napoli. Poi, l'attività eruttiva si placa. Per due giorni, il peggio sembra passato, dalla caldera esce solo poco fumo, tanto che in molti iniziarono l'esplorazione del Monte Nuovo. Ma il settimo giorno, domenica 6 ottobre, di nuovo tra le 15 e le 16, si verifica una nuova violenta esplosione eruttiva che uccide sul colpo 24 scalatori del monte e fa riprendere la pioggia di pietre e cenere. Poi, finalmente, la tregua vera e propria. Inizia la conta dei danni: oltre al villaggio di Tripergole, completamente inghiottito, non si registrano fortunatamente danni ingenti se non nel raggio di un chilometro. Pozzuoli viene seporla da 30 centimetri di ceneri, a Napoli appena due. Il vento, però, le farà arrivare in minime quantità anche in Cilento, Calabria e Puglia.

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