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“Le Quattro Giornate di Napoli non furono rivolta di scugnizzi” nuova ricerca sfata mito del cinema

Il libro dell’Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza per gli 80 anni dell’insurrezione anti-nazista. Per la prima volta pubblicati nomi e cognomi di tutti i 1903 partigiani.
A cura di Pierluigi Frattasi
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Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza
Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza

“Le Quattro Giornate di Napoli non furono una rivolta degli scugnizzi”. Una nuova ricerca pubblicata dall'Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza per l'80esimo anniversario dell'insurrezione che liberò Napoli dall'occupazione nazista del 1943 sfata il mito che fu alimentato soprattutto grazie agli scatti del grande fotografo americano Robert Capa e cresciuto con il film capolavoro di Nanni Loy del 1962 con Gian Maria Volonté e Aldo Giuffré. “Un pregiudizio – si legge in uno dei saggi contenuti nel libro – che la storiografia sulle Quattro Giornate ha ormai smentito con forza”.

Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza
Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza

"Nell'insurrezione del 1943 solo 5 ragazzi di 10-12 anni"

La partecipazione degli “scugnizzi”, i ragazzini di strada che popolavano i vicoli di Napoli, ad ogni modo, secondo gli storici, ci fu, ma fu più contenuta rispetto alla vulgata, come lo studio dimostra ancora una volta. Sui 1.903 partecipanti alle alle Quattro Giornate, dal 27 al 30 settembre 2023, i ragazzini tra 10 e 12 anni che parteciparono furono 5 (0,3%), tra questi 4 morirono e sono annoverati tra i caduti dell'insurrezione. Ma si contano anche 247 giovani tra 13 e 17 anni (13%), con 41 morti. La maggior parte degli insorti (897), invece, aveva tra 23 e 42 anni, mentre erano 372 quelli nella fascia d'età tra 18 e 22 anni.

Numeri e dati che emergono dal libro “Napoli settembre 1943. Storie, dati, riflessioni e discussioni a ottant’anni dalle Quattro Giornate”, realizzato dall’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea, intitolato a “Vera Lombardi”, edito da La Valle del Tempo, con i saggi di Gaetano Barbarulo, Pasquale Borghese, Giulia Buffardi, Guido D’Agostino e Silvio de Majo.

Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza
Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza

Il libro raccoglie in 456 pagine studi inediti e ricerche aggiornate di cinque storici dell’Istituto, riportando per la prima volta l'elenco di tutti i 1903 partigiani riconosciuti, con nomi e cognomi, indirizzi e generalità, i luoghi delle operazioni nelle quali furono coinvolti, l'elenco dei 155 caduti e le loro biografie, il dramma delle loro famiglie, ben ricostruito da Gaetano Barbarulo, dei 337 feriti, invalidi e mutilati.

D'Agostino: “Raccolti i dati di 2mila partigiani”

Per il professor Guido D’Agostino, presidente dell’Istituto Campano per la storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea «Vera Lombardi»,

“Gli autori hanno raccolto di circa duemila partigiani combattenti i dati anagrafici più indicativi (età, condizione, parentela, at­tività); hanno tracciato essenziali profili biografici di centinaia di caduti. Ma non solo tanta conoscenza di ciò che è avvenuto sul campo, nel territorio, bensì pure è stata ripercorsa la parabola storiografica, e si è dato spazio alla ricca e varia eco giornalistica dell’intera vicenda nel suo svilupparsi tra il 1945 e il 2022. Né si è manca­to, peraltro, di rintracciare e riportare esempi di ricordi e testimonianze diretti, di tipo diaristico”.

Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza
Foto concesse da Istituto Campano per la Sto­ria della Resistenza

In definitiva, conclude D'Agostino:

“L’Istituto ha ritenuto in questo modo riprendere e onorare il filo rosso della vita e del coraggio di una Città troppe volte messa e tenuta ai margini, considerata con sufficienza ma anche platealmente investita da giudizi approssimativi e non di rado negativi. Nel 1943 – come invero anche altre volte nel corso della sua storia bi millenaria – Napoli e tanta parte della comunità metropolitana e meridionale c’è stata e c’era, ha osato aprire una finestra su un mondo nuovo e diverso, ha sfidato nemici interni ed esterni, ha rifiutato di restare inerte o ‘sospesa’ o, peggio, succube. Tra istinto di libertà e bisogno di protezione, ha decisamente optato per il primo e si è consacrata alla lotta fino alla vittoria finale. Ha così inteso rivelare e mettere in campo la sua vera natura, orientata quando occorre ed è tempo, a ribellarsi e a cambiare la realtà in cui è immersa, compiendo in effetti la cosa più buona e giusta che si possa ideare e praticare, dimostrando di volerlo e di saperlo fare”.

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“Quattro Giornate di Napoli, sfatato il mito della rivolta di scugnizzi”

“La storiografia sulle Quattro Giornate – si legge nel saggio firmato da Pasquale Borghese e Silvio de Majo – ha ormai smentito con forza il pregiudizio messo in giro soprattutto da giornalisti americani e ripreso da certa opinione pubblica revisionista, di una insurrezione caratterizzata soprattutto dall’audace presenza degli scugnizzi di Napoli”.

Si sottolinea:

Già Aldo De Jaco nei primi anni Sessanta lo diceva con forza: il 1° ottobre 1943 «un fortunato “inviato speciale” USA, giunto al Vomero […] trovava nel comando dei patrioti alcuni “scugnizzi” armati. Egli li fotografava in tutte le pose, col fucile a spalla, di sentinella, con l’elmo, senza, con la cicca in bocca, isolati o in gruppo; e queste fotografie fecero presto il giro del mondo a testimoniare che gli “scugnizzi” napoletani avevano cacciato i tedeschi: una tesi che sul momento contribuì a sconfiggere il mito della guerra nazista.
«Ma si tratta di una tesi falsa.
«Senza sottovalutare lo slancio di tanti ragazzi che avevano fatto corona all’azione armata effettiva ed erano anche morti combattendo, bisogna affermare che si trattava d’una tesi falsa, falsa come quella che vuole la politica e l’antifascismo estranei alle “Quattro giornate” napoletane».

E, ancora,

“Il fotografo in questione era il famoso Robert Capa; i suoi scatti risultarono assai accattivanti e tali da destare la simpatia e l’interesse del pubblico americano, ma dava­no dei fatti una rappresentazione inesatta, dalla quale emergeva l’idea di una rivolta plebea, animata principalmente da disordinate bande di ragazzini”.

Un importante contributo documentario è fornito poi da una quasi completa rassegna bibliografica sulle Quattro Giornate e dall’analisi, compiuta da Giulia Buffardi, di come la rivolta sia stata ricordata dai giornali in occasione degli anniversari più celebrativi.

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