Emergenza lavoro

Lavoro, la storia di Antonio: “Altro che smidollati, per noi solo stipendi da fame e lavoro nero”

Le esperienze di un giovane di 27 anni nell’inferno del mercato del lavoro al Sud. “Per 11 ore al giorno ci offrono 100 euro a settimana, l’unica possibilità è emigrare”
A cura di Antonio Musella
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"Scansafitiche, poltronisti, smidollati" è questo il mantra, ripetuto come una cantilena da parte di politici ed imprenditori, che ha accompagnato la definizione di "giovani" negli ultimi anni. È su di loro che si è concentrata la propaganda che ha chiesto ed ottenuto dal governo Meloni l'abolizione del reddito di cittadinanza. "Sono occupabili, cerchino un lavoro" gli veniva detto. Ma a quali condizioni? Con quali diritti? Con quale prospettiva? Sono questioni che appaiono secondarie per commentatori e politici.

Antonio Pirozzi ha 27 anni, viene dalla provincia di Napoli ed ha scritto a Fanpage.it le sue esperienze lavorative. Un catalogo di condizioni inaccettabili e degradanti che ci sono sembrate subito il miglior modo possibile per raccontare cosa offre oggi il mercato del lavoro ai giovani meridionali, ancora di più dopo l'abolizione del reddito di cittadinanza.

"Per 11 ore di lavoro, ci offrono 100 euro a settimana"

Antonio si è diplomato nel 2015 come perito elettronico, vive a Giugliano in Campania, una delle città più grandi della Campania con i suoi 120 mila abitanti. Non ha perso tempo e subito si è tuffato nel mercato del lavoro. "Ogni volta che rispondevo ad una offerta di lavoro, quando mi presentavo le condizioni erano sempre diverse dall'offerta – ci dice – gli orari erano diversi e soprattutto di un contratto di lavoro nemmeno l'ombra".

Ha provato diversi lavori, non disperando mai, dandosi da fare: "Ho iniziato in un'azienda di tendaggi industriali – racconta – il lavoro era dalle 8 di mattina alle 19 di sera, ed il sabato dalle 8 alle 13:30,  e mi pagavano 150 euro a settimana, chiaramente tutto completamente in nero. Ho provato anche in un'autofficina, l'orario era sempre lo stesso, dalle 8 alle 19, 11 ore di lavoro, il sabato il titolare mi metteva a fare le pulizia, sebbene il mio compito fosse quello di aiuto meccanico. Mi pagavano 100 euro a settimana, ed anche qui senza contratto".

Ma cosa ci può fare un giovane con 100-150 euro a settimana, equivalenti ad uno stipendio mensile di 400-600 euro al mese? Praticamente nulla. Non c'è alcuna prospettiva ed i soldi finiscono prima ancora della metà della settimana successiva. "Per farmi il panino al supermercato per la pausa pranzo dovevo chiedere i soldi ai miei genitori" spiega Antonio.

Poi ha provato anche a fare lo stagionale, per periodo natalizio, in una grande azienda di logistica e spedizioni. "Avevo un contratto di 4 ore al giorno in part time. Ma all'improvviso ti chiedevano se volevi rimanere oltre l'orario perché c'era del lavoro da fare. Ma non veniva conteggiato come straordinario, semplicemente ti davano i soldi in nero, 5 euro all'ora". Uno spaccato che è l'esatta dimensione della distanza tra la propaganda e la realtà. "Quando c'era il reddito di cittadinanza ci si poteva sottrarre a questo sfruttamento, adesso queste sono le uniche condizioni per lavorare al Sud" ci dice Antonio.

La scelta di emigrare: "La sola possibilità è lasciare la nostra terra"

Ma Antonio non era certo il solo a vivere questa realtà del mercato del lavoro. Anche i suoi amici lavoravano nelle sue stesse condizioni, ed in famiglia ha avuto degli esempi ancora più drammatici. "Mio suocero fa il pasticciere a Napoli da 42 anni – ci racconta – non ha mai avuto un contratto di lavoro, ad agosto di quest'anno non gli hanno nemmeno pagato la mensilità, ma l'unica settimana in cui l'esercizio è stato aperto e lui ha lavorato".

In queste condizioni non si può che arrivare alla conclusione che lavorare dignitosamente in Campania è impossibile. Sembra una delle scene degli sketch di Massimo Troisi, quando negli anni '80 ricordava che a Napoli l'unico lavoro possibile era "con qualcos'altro vicino, lavoro nero, lavoro minorile, mai lavoro e basta". Dopo anni in queste condizioni Antonio ha scelto di emigrare. Lo ha fatto un anno fa ed adesso vive e lavora a Torino con un regolare contratto di lavoro, con tutti i diritti e le tutele. "Purtroppo per poter lavorare dignitosamente dobbiamo lasciare le nostre terre ed emigrare al Nord, oppure all'estero come hanno fatto tanti giovani".

L'appello alla politica: "Ci vuole il salario minimo"

Quello che Antonio proprio non sopporta è l'essere etichettato, in quanto giovane, come scansafatiche e smidollato. "La realtà non è questa, non è come dicono quei commentatori di centro destra in televisione, oppure i politici. Se ci fosse un lavoro regolare e con tutti i diritti, nessuno si lamenterebbe, adesso c'è solo sfruttamento e schiavitù".

Non è facile per nessuno essere costretti a lasciare la propria terra per andare a lavorare altrove e dover per forza di cose immaginare di poter costruire un futuro solo lontano da casa. "Ero stanco di sentirmi offrire 100 euro a settimana e sentirmi dire che questo valevo". Antonio fa anche un appello alla politica: "Al presidente del consiglio Giorgia Meloni voglio dire che noi non siamo smidollati, non siamo degli scansafatiche. C'è bisogno di fare un salario minimo di 9-10 euro all'ora, per dare la possibilità a tutti i giovani di poter lavorare regolarmente e con una dignità. Solo in questo modo possiamo pensare di costruirci un futuro".

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