Laurea honoris causa a Maurizio De Giovanni: il discorso e la dedica alla mamma
Chi conosce Maurizio De Giovanni da prima che diventasse lo scrittore dei record, per numero di vendite e di sceneggiature fornite alle fiction Rai, sa che amava passeggiare lungo via Toledo e fermarsi con chiunque lo riconoscesse per scambiare due chiacchiere e ‘carpire' storie, sensazioni, sentimenti: guardare e ascoltare Napoli e i napoletani per ‘filtrarli' e restituire la città nei libri facendo però parlare i personaggi.
Si evince proprio questo, ascoltando la motivazione della laurea honoris causa in Filologia Moderna conferita dall'Università di Napoli Federico II allo scrittore partenopeo. Nella laudatio accademica a motivare la scelta del conferimento, Pasquale Sabatino, professore ordinario in Letteratura Italiana, spiega:
La sua Napoli è una città plurale, con il labirinto dei vicoli e le piazze che sembrano palcoscenici, i quartieri malfamati e quelli borghesi, le tradizioni popolari e gli antichi mestieri coltivati e tramandati. Il disordine morale e il caos sociale. È una città reale, autentica, sospesa tra cielo e terra, tra inferno e paradiso.
Nel raccontare le storie De Giovanni fa un passo indietro e lascia spazio ai personaggi che tanto hanno da dire. È un maestro chi, traendo ispirazione da scrittori stellari, crea uno stile proprio e diventa a sua volta un modello per gli altri.
La parte più commovente del discorso di Maurizio De Giovanni è quella dedicata alla mamma:
Se io oggi mi trovo qui, è perché c'è stato un tempo in cui ero seduto sul pavimento di una cucina, ascoltando alla radio canzoni napoletane, e una persona mi ha raccontato le storie contenute in quelle canzoni. Sono qui perché mi sono state raccontate quelle storie, e assieme al latte, da piccolo, ho preso il senso di questa città: sono qui per mia madre.
È nota l' "ansia" dello scrittore napoletano: all'uscita di un libro, all'approccio con un nuovo personaggio, quando va in onda una delle serie tv ispirata alle sue storie. E ne spiega i motivi: sente l'ansia di "rappresentare" tutto un mondo, lo stesso che porta nei suoi libri:
Non ho mai sopportato stare sotto i riflettori e stanotte non riuscivo a dormire perché pensavo a questo momento. Non dormendo, guardavo la città. Mano a mano che veniva illuminata dal sole che sorgeva, la città mi ha spiegato che potevo trovarmi qui perché sono in rappresentanza, e non in proprio.
Sono qui a rappresentare il racconto di una realtà così vasta, complessa, articolata e difficile. Penso che il racconto di questa città non sia semplice. Né può mai essere esaustivo: non esiste autore, per quanto grande e profondo, che sia in grado di scrivere l’interpretazione reale di questa città. Ognuno può e deve raccontare la sua.
Poi spiega la sua Napoli:
È una città che nasce dal mare, fondata da altre civiltà dalle quali ha trovato costantemente il nutrimento di se stessa. È fondata sulla speranza: abbiamo sempre pensato, mai a ragione, che il nuovo dominatore fosse migliore del precedente. Ma ci siamo salvati trattenendo la parte migliore di ciascun dominatore. È una città stretta, angusta, sovrapposta, in cui si mescolano nella stessa strada e nello stesso quartiere ceti sociali diversi. Ha una produzione culturale costante.
È l’area più densamente popolata d’Europa, un’area che tende spesso ad autogovernarsi, a rifiutare imposizioni dall’esterno. È una città che produce narrazione su di sé e in cui succede qualcosa di valore e di forte impatto: il racconto di Napoli, prodotto dalla città, influenza la città stessa. La causa e l’effetto si cambiano di posto.
Perché la narrazione di Napoli fuori diventa stereotipo, ma al suo interno viene elaborata e diventa prospettiva di se stessa e la influenza. Per questo raccontarla è una responsabilità enorme, e un autore può fronteggiarla solo raccontando ciò che vede e non se stesso.