La storia di San Giuseppe Moscati e della camicia custodita a Procida
Intorno a Giuseppe Moscati, il medico-santo che guariva i napoletani, negli anni c'è stato un fiorire di racconti, anche molto semplici, di vita vissuta dal celebre primario partenopeo. Uno di questi racconti porta sull'isola di Procida, perla del Golfo di Napoli. A raccontarla a Fanpage è Leo Pugliese, giornalista, direttore di Tg Procida.
Era il 26 maggio 1923, un sabato di primavera inoltrata, quando il dottor Giuseppe Moscati, celebre medico e primario dell’Ospedale degli Incurabili, si trovò a dover affrontare un imprevisto che lo avrebbe portato lontano dalla sua consueta routine. La famiglia Del Giudice, preoccupata per la salute del giovane Aniello Porta, lo aveva contattato con urgenza: da giorni il ragazzo non riusciva più a camminare, e nessuna cura sembrava sortire effetto. Le amorevoli attenzioni della famiglia non erano bastate, così decisero di rivolgersi a Moscati, conosciuto per la sua competenza ma anche per la sua profonda umanità.
Giuseppe Moscati, nonostante i tanti impegni, rispose senza esitazione. Prese il traghetto e si recò sull'isola per visitare Aniello. Appena arrivato al palazzo della famiglia Porta, capì subito la gravità della situazione. Visitò il giovane con la calma e la sicurezza che lo contraddistinguevano, e in breve tempo la diagnosi gli fu chiara. Prescrisse i medicinali necessari, rassicurando i familiari che il ragazzo avrebbe presto mostrato dei miglioramenti.
Ma quel giorno, il destino aveva in serbo qualcosa di diverso. Nel pomeriggio, all’improvviso, un temporale si abbatté sull’isola. Le condizioni meteorologiche peggiorarono rapidamente: il mare si agitò, il vento soffiava impetuoso, e ogni speranza di tornare in terraferma quella sera svanì. Moscati si trovò costretto a pernottare nel palazzo dei Porta, che lo accolsero con grande ospitalità.
La famiglia, grata per l’assistenza prestata al giovane Aniello, decise di preparare una cena in onore del dottore. La tavola era imbandita con cura, i piatti erano ricchi e saporiti, e l’atmosfera all’interno del palazzo contrastava con il fragore del temporale che infuriava fuori dalle finestre. Durante la cena, proprio mentre Moscati sollevava il bicchiere di vino rosso per brindare alla salute del ragazzo, un piccolo incidente ruppe il momento di festa: un po' di vino gli cadde sulla camicia, lasciando una vistosa macchia.
Nonostante l’accaduto, la serata proseguì serenamente, ma quando giunse il momento di ritirarsi per la notte, Moscati si rese conto che la camicia non sarebbe stata asciutta in tempo per la mattina successiva. La famiglia Porta, premurosa come sempre, gli offrì una camicia pulita, insistendo affinché l’accettasse. Il medico, con il suo consueto garbo, ringraziò e promise che sarebbe tornato sull’isola, sia per far visita al malato che per restituire la camicia.
All’alba del giorno seguente, il temporale si era finalmente placato. Le acque, ora più calme, permisero a Moscati di riprendere il traghetto e tornare a Napoli. Salutò la famiglia con un sorriso e una promessa: sarebbe tornato.
Quel ritorno, però, non avvenne mai. La camicia che Giuseppe Moscati lasciò sull’isola rimase nelle mani della famiglia Porta, che la conservò con cura, consapevole di avere tra le mani un oggetto che, col tempo, avrebbe acquisito un valore speciale. Non era più solo un indumento: era il simbolo di quel giorno, di quell'incontro, e del tocco di santità che il medico napoletano aveva lasciato dietro di sé.
Oggi, quella camicia è custodita in un quadro, posta su un comodino accanto a una foto del santo. La macchia di vino non è mai stata lavata via, come a voler preservare un segno tangibile del passaggio di Moscati in quella casa.
Per la famiglia Porta, e per molti altri, quell’oggetto è una reliquia, un ricordo vivente della bontà e della devozione di un uomo che, con la sua scienza e la sua fede, ha curato non solo i corpi, ma anche le anime