La scomparsa dei medici di base: “Nessuno vuole farlo, si guadagna di più a gettone”

Rispetto al numero di pensionati i nuovi ingressi non coprono nemmeno la metà dei vuoti lasciati. I medici però ci sono, ma vogliono fare tutti gli specialisti, si guadagna di più. Ecco come il nuovo mercato del lavoro medico porterà alla scomparsa del medico di famiglia.
A cura di Antonio Musella
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Quando si parla di salute la prima figura che ci viene in mente, anche solo per riflesso, è quella del proprio medico di base, la prima interfaccia tra il cittadino ed il sistema sanitario nazionale, quello pubblico, per decenni vanto dell'Italia nel mondo. Lo scenario prospettato dai sindacati dei medici di base entro i prossimi due anni, mette quindi i brividi: entro il 2026 dai 15 ai 20 milioni di italiani saranno senza il medico di base. Il numero di dottori che andrà in pensione non verrà nemmeno lontanamente assorbito dai nuovi ingressi, che al momento non arrivano nemmeno a coprire ogni anno, la metà di quelli che concludono la propria attività. Nessuno vuole più fare il medico di base, così come nessuno vuole fare più il medico di pronto soccorso.

Eppure i medici ci sono, a poco serve eliminare il numero chiuso nelle facoltà, il problema è che tutti vanno a fare gli specialisti. A stravolgere completamente la professione è il nuovo mercato del lavoro della medicina che, dopo il Covid, ha mandato in soffitta i contratti collettivi nazionali per fare posto ai contratti individuali, ai gettonisti, alle prestazioni a pagamento all'interno stesso del sistema pubblico. E le soluzioni immaginate dal governo, al momento, sembrano non riuscire a mettere nemmeno una toppa all'emergenza.

"Tutti vogliono fare gli specialisti, e nessuno fa più il medico di base"

Partendo dai numeri, la situazione è davvero drammatica. Il picco della crisi dei medici di base sarà toccato nei prossimi tre anni, tra quest'anno ed il 2026, quando appunto avremo un numero che oscilla tra i 15 ed i 20 milioni di italiani che non avranno più il medico di base. Al numero di medici che vanno in pensione equivale un numero di nuovi ingressi che è pari a meno della metà dei vuoti lasciati, inoltre ai concorsi non si presenta nessuno. Il quadro ci viene fornito da Silvestro Scotti, segretario nazionale della Fimmg, sindacato dei medici di base: "Il Pnrr aveva portato a circa 2000 le borse di studio annuali, ma questo dato, oltre a non coprire nemmeno lontanamente i circa 4000 pensionamenti all'anno che abbiamo di fronte, deve fare i conti anche con la mancanza di attrattività della professione. Il concorso ultimo è stato fatto meno di un mese fa, ed i numeri di dicono che oltre il 40% di queste borse rimane non coperto, ed in più si aggiunge una percentuale importante legata all'abbandono". Uno scenario che già si sta vivendo il moltissime regioni italiane, innanzitutto al Nord, dove l'assenza cronica di medici di base è un fenomeno in costante aumento, ma ora anche al centro ed al Sud la situazione è in picchiata, e non basta più la cosiddetta "pletora medica" per colmare il buco.

Non ci sono più medici? Le cose non stanno esattamente così. Il problema è che si guadagna molto di più facendo altro, piuttosto che ricoprendo la figura di massima prossimità tra il cittadino ed il servizio sanitario pubblico. "Non è vero a mio avviso che non ci sono medici – spiega Scotti – il problema è che tutti vogliono fare i dermatologi, i medici estetici, gli igienisti, tutti vogliono fare attività che in questo momento sono meno significativi rispetto ai livelli essenziali di assistenza previsti dal sistema sanitario nazionale. Quindi nessuno vuole andare in pronto soccorso, nessuno fa più la chirurgia generale, nessuno vuole fare il medico di famiglia, l'Italia sta formando una marea di specialisti ed ha aumentato i posti nelle specializzazioni, ma l'offerta specialistica si può mai immaginare di presentarla come cura primaria? Alla fine le cure primarie scompariranno, siamo il paese con il rapporto più basso dei paesi OCSE".

Davanti ad un aumento della pressione, davanti al malfunzionamento della sanità pubblica, chi è in prima linea accanto ai cittadini vive una qualità del lavoro pesantissima, che incide inevitabilmente sulla qualità della vita. Davanti a possibilità di guadagni enormemente maggiori, addirittura all'interno del pubblico, ma a chi conviene fare il medico di base o il medico di pronto soccorso?

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Sui territori: "Tante persone già senza medico di base"

La fuga dalla professione viene incentivata dal cattivo funzionamento generale del sistema sanitario nazionale pubblico. "Qui quando ci mettiamo alla scrivania, non curiamo solo i pazienti, ma andiamo in guerra" ci dice Salvatore Caiazza, medico di base di Quarto (Na). "I giovani questo lavoro non lo vogliono fare più – spiega – non è più attrattivo perché soprattutto sui nostri territori il medico di famiglia è da solo su un territorio che funziona poco e male. Non si riesce a risolvere le problematiche assistenziali come vorremmo, il paziente diventa agitato, e scoppiano le aggressioni all'interno degli ambulatori".

Liste d'attesa infinite, esami e diagnostica pubblica ferme al palo, costi esorbitanti per eseguire accertamenti presso i centri privati, una rincorsa continua alle ricette, un fondo per la sanità convenzionata che si esaurisce alla velocità della luce, provocano un tale stress nelle persone, che la prima interfaccia, quindi il medico di famiglia (così come quello di pronto soccorso) diventa la figura su cui sfogare la rabbia. "Qui a Quarto rispetto ai posti per medici di base, uno è rimasto vacante – racconta Caiazza – l'anno prossimo avremo altri due pensionamenti che non saranno coperti. Se allarghiamo ai Comuni limitrofi il dato è peggiorativo, se andiamo a vedere tutta la Asl Napoli 2 Nord il dato diventa esponenziale. È stata sbagliata completamente la programmazione, ma non solo in Campania, ma in tutta Italia". In altre zone la situazione sembra uguale se non peggiore. "Qui a Frattamaggiore dovremmo essere 18 medici, invece ne siamo 11, abbiamo una carenza di 7 medici di base" ci dice Luigi Costanzo, medico di base anche lui. "Per lungo tempo molti concittadini sono stati senza medico di base, così come oggi molti sono costretti ad andare nei Comuni limitrofi per capire dove c'è posto per trovare un medico di base, una situazione insostenibile" spiega Costanzo.

Nel suo studio si fanno anche diverse iniziative sociali, come il ticket sospeso, proprio per garantire ai cittadini una assistenza ulteriore davanti ai costi alti delle cure e le inefficienze del sistema pubblico ormai croniche. "Io credo che si sta spingendo verso la privatizzazione – sottolinea – tutto quello che sta accadendo ci porta verso lo smantellamento del sistema sanitario pubblico per come lo abbiamo conosciuto".

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"Se faccio il gettonista prendo 6mila euro al mese"

Un fenomeno come l'assenza esponenziale dei medici di base, non può trovare radici solo nello stress della professione rispetto ad altri rami della professione medica, i soldi contano, e pure tanto. Dopo il Covid il mercato del lavoro medico è stato completamente stravolto, per fronteggiare all'emergenza pandemica si è dato il via a tutta una serie di misure che garantiscono profitti importanti all'interno del sistema sanitario pubblico. "Prima c'erano i contratti collettivi nazionali e gli accordi nazionali – spiega Silvestro – dopo il Covid si è passati ai contratti individuali ed alle possibilità di guadagnare tantissimo con prestazioni a gettone. Se io domani mattina cambio lavoro e vado a fare il gettonista negli ospedali pubblici, solo per codici bianchi e verdi, io mi faccio 9 turni al mese e guadagno 6mila euro di stipendio". Ma davanti a queste possibilità, chi si metterebbe a fare il medico di base? Oggi i medici di famiglia raccolgono 3,50€ a paziente, per prestazione non urgente, a fronte di un numero ottimale per l'assistenza, di 1300 pazienti, se si volesse visitare una volta al mese ogni paziente, impresa più che ardua visti i numeri, non si arriverebbe ai guadagni di un "gettonista".

Per mettere una toppa alla scomparsa progressiva del medico di base sul tavolo il governo ha avanzato due proposte: la prima è un aumento del numero massimo di pazienti fino a 2500 assistiti per ogni medico di base; la seconda prevede un sistema a prestazione oraria dei medici di base all'interno delle case di comunità. Peccato che entrambe sia abbastanza inverosimili. "Dire ad un medico che deve assistere fino a 2500 pazienti, significa dirgli che non farà più il medico. E' scontato che davanti ad un numero simile, quel medico andrà a fare il gettonista, o andrà ancora prima in pensione, oppure opterà per la sanità privata. Si tratterebbe di una pressione lavorativa gigantesca, oltre al fatto che assistere bene 2500 persone è un'impresa impossibile" sottolinea Scotti. Sulle case di comunità invece, il problema principale è che, soprattutto al Sud, semplicemente non ci sono ancora. Restano un'ottima idea di sanità di prossimità, ma la loro concreta realizzazione, nonché i soldi per metterle in funzione, sono processi in divenire.

"Le case di comunità esistono solo sulla carta – commenta Luigi Costanzo – sono bei progetti ma sulla carta, io fatico proprio a vederne anche solo l'organizzazione da qui ai prossimi 3-4 anni. E nel frattempo cosa si fa?". Un problema gigantesco quindi le cui soluzioni sembrano essere improbabili. Ma in generale questo fenomeno della scomparsa dei medici di base ci aiuta a capire il futuro della sanità italiana. Mentre il governo dibatte di presunti aumenti dei fondi destinati alla sanità pubblica, le trasformazioni del sistema sanitario accelerano sempre di più, come ci dice anche il dottor Caiazza: "A questi poveri cittadini li vogliamo solo prendere per i fondelli, e dirgli che sulla carta hanno la sanità pubblica, ma se ti vuoi curare veramente devi andare dal privato. Altrimenti o il tuo stato di salute peggiore, oppure nella peggiore delle ipotesi, muori".

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