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La rivolta del pallone del 1969 a Caserta: tre giorni di tafferugli e oltre 90 arresti

Tra l’8 ed il 10 settembre 1969, a Caserta ci fu la “rivolta del pallone” dopo che la squadra di casa perse d’ufficio la prima storica promozione in Serie B.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Tre giorni di tafferugli, oltre novanta arresti, danni per centinaia di milioni di lire: questo il bilancio di quella che è passata alla storia come la "rivolta del pallone", esplosa a Caserta tra l'8 ed il 10 settembre del 1969, dopo un verdetto sportivo giudicato ingiusto e che toglieva alla squadra di calcio della Casertana la Serie B conquistata sul campo, "costringendola" a giocare un altro anno in Serie C. L'eco dell'evento ebbe una portata internazionale, visto che si trattò di una vera e propria rivolta popolare, cui solo l'intervento delle forze dell'ordine riuscì ad evitare sfociasse in guerriglia vera e propria.

Era il 22 giugno del 1969, e Caserta viveva un sogno: per la prima volta, avrebbe giocato nel campionato di Serie B, dopo aver vinto il proprio girone di Serie C davanti al Taranto, staccato di due punti. All'ultima giornata, è il successo per 1-0 sul Messina a fare esplodere di gioia un'intera città, mentre il Taranto non andava oltre lo 0-0 contro il Barletta: quel giorno, allo stadio di Caserta, c'erano 15mila persone per una città che vantava 60mila abitanti. In pratica, un casertano su quattro era sugli spalti. Alla festa grande, però, subentrò la paura: pochi giorni dopo la grande festa, infatti, l'allora presidente del Taranto accusò la Casertana di aver combinato la partita contro il Trapani, il 18 maggio precedente, a cinque giornate dalla fine, vincendola così per 1-0. Due i calciatori nel mirino: il casertano Renzo Selmo, che negò ogni accusa, e il trapanese Renato De Togni, che in un primo momento ammise la combine, per poi smentirla subito dopo.

Fu un'estate calda, quella che accompagnò la decisione finale, attesa per l'8 settembre: a Caserta, non si parlava d'altro, anche perché il campionato di Serie B era alle porte: il 14 settembre era prevista la prima giornata. La tensione era altissima: fin dal mattino, forze dell'ordine di supporto erano arrivate da Napoli, Nettuno e perfino Foggia. Alle 10.30, la sentenza fu comunicata via radio: Casertana penalizzata di 6 punti da scontare nel campionato appena concluso, e dunque addio Serie B (il Taranto, staccato di 2 punti, divenne dunque primo con 4 punti davanti ai casertani, secondi e dunque di nuovo in C). Squalificati i calciatori Selmo e De Togni, ma anche il presidente del Taranto perché aveva pagato 2 milioni e mezzo di lire a De Togni in occasione della sua confessione iniziale. Fu l'inizio del caos.

Mentre la Serie B rinviava Taranto-Pisa, prima giornata di Serie B che si sarebbe dovuta giocare sei giorni dopo (la Casertana, per ironia della sorte, avrebbe ritrovato il Barletta contro cui aveva chiuso il campionato lo stesso Taranto due mesi prima), la gente diede il via a blocchi stradali, vennero presi d'assalto uffici e negozi in via Cesare Battisti, per poi spostarsi verso la stazione ferroviaria prima e il casello autostradale di Caserta Nord, con inevitabili scontri tra tifosi e forze dell'ordine. Ma fu solo l'inizio, perché il giorno dopo, 9 settembre, la protesta divenne rivolta: ai tifosi si aggiunsero gli scioperi dei lavoratori e quello degli studenti. Ad essere prese d'assalto furono di nuovo la stazione ma anche scuole, provveditorato, enti statali, con nuovi scontri sul corso Trieste, cui seguì lancio di fumogeni da parte delle forze dell'ordine per disperdere la folla inferocita. Lo sciopero si allargò anche ai negozianti, che protestarono abbassando le serrande: di fatto, Caserta divenne una città in aperta "ribellione". Solo il 10 settembre, la rivolta iniziò a rientrare: venne richiesto di rilasciare gli arrestati dei due giorni precedenti (oltre 90), ma ne vennero rilasciati solo 12: gli altri furono portati a Poggioreale, Santa Maria Capua Vetere, al Filangieri di Napoli.

Gli appelli del sindaco Salvatore Di Nardo, del vescovo Vito Roberti e dello stesso presidente Giuseppe Moccia della Casertana caddero quasi nel vuoto: l'unica speranza per ribaltare il verdetto, era la Commissione d'Appello Federale, chiamata ad esprimersi pochi giorni dopo. Caserta, lentamente, torna alla normalità, mentre si contarono in centinaia di milioni di lire i danni. Alcuni giornali nazionali ed internazionali pubblicarono in prima pagina quello che fino ad allora era quasi impensabile: una città intera in rivolta per la mancata promozione. Intanto il 19 settembre, giorno di San Gennaro, il miracolo non ci fu: la sentenza venne confermata, la Casertana restò in Serie C, ma stavolta la città accettò il verdetto e le proteste furono ridotte al lumicino, anche perché l'intero capoluogo fu letteralmente presidiato da forze dell'ordine fin dalle luci dell'alba. Per i casertani, la rabbia per un verdetto ritenuto ingiusto. Ma come spesso succede nel calcio, la delusione lascia il posto all'euforia in tempi brevi: a fine stagione, il 14 giugno 1970, la Casertana vinse di nuovo il campionato, ancora per due punti e ancora su una pugliese, stavolta il Brindisi. Ma stavolta ci fu il lieto fine, e l'anno dopo la formazione rossoblù partecipò, per la prima volta, alla Cadetteria. E la festa fu doppia.

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