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“La questua per la Madonna dell’Arco per chiedere il pizzo, anche il prete pagava alla camorra”

Il racconto del pentito: il clan Contini, attraverso le questue per la Madonna dell’Arco, imponeva il pizzo a commercianti e residenti e si faceva consegnare da un prete anche le offerte per i sacramenti.
A cura di Nico Falco
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Commercianti, residenti, persino rappresentanti della Chiesa: pagavano tutti alla camorra. Senza minacce esplicite o azioni di forza plateali, il modo era ben più infido: veniva sfruttato il sentimento religioso, che diventava uno strumento per arrivare anche nelle case dei cittadini e per estorcere il pizzo alla luce del sole. Lo racconta il collaboratore di giustizia Teodoro De Rosa, che ha svelato il sistema che il clan Contini aveva escogitato per mettere le mani sulle feste per i santi e per la Madonna nel centro di Napoli, trasformandole in una occasione per manifestare la propria presenza sul territorio e, anche, per raccogliere denaro. La circostanza emerge dall'ordinanza che ha portato, lo scorso 21 febbraio, al sequestro di 11 cappelle votive, tutte abusive, ritenute dagli inquirenti riconducibili a personaggi della malavita organizzata.

La questua per imporre il pizzo in strada e in ospedale

Il clan Contini, ha raccontato il pentito, usava le processioni come strumento per imporre il pizzo a commercianti e residenti. E non lo faceva soltanto nel periodo di Pasqua, quando cade la festa canonica: le questue venivano organizzate anche diversi mesi prima, nei giorni di Natale, e sia i commercianti, sia i residenti erano obbligati a porgere un'offerta.

"È ulteriore rispetto alle somme a titolo estorsivo già imposte – dice De Rosa – mi spiego: i condomini sono costretti a iscriversi all'associazione religiosa e per questo pagano una quota fissa; poi, devono versare la questua in occasione di ogni processione. Allo stesso modo, i commercianti versano sia la quota fissa all'associazione religiosa sia la questua in occasione del singolo rito".

La questua veniva organizzata anche nei parcheggi dell'ospedale San Giovanni Bosco, sia in quello interno, sia in quello abusivo all'esterno. E, anche in quel caso, erano tutti costretti a pagare. "Anche medici e infermieri – racconta il pentito – il rischio era che venissero bucate le ruote o qualche altro dispetto".

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I soldi della questua per la Madonna nelle casse del clan

Ogni cappella votiva, prosegue il pentito, è riconducibile ad un referente di zona di una famiglia malavitosa, che incassa i soldi raccolti durante la processione. Capita però che nella stessa zona ci siano più cappelle votive, riconducibili a diverse persone legate ai clan: in questi casi la processione fa più soste, raccogliendo il denaro che poi viene diviso tra i vari referenti.

Il rapporto tra il clan e la processione viene tutt'altro che negato. Anzi, viene esplicitato, proclamato: sulle bandiere che vengono portate in processione ci sono i nomi delle varie famiglie.

Anche il prete pagava alla camorra

Il clan aveva messo le mani anche su diverse chiese, racconta il pentito, e le usava come luogo di ritrovo per gli appuntamenti di camorra, entrando a proprio piacimento con le chiavi. I Contini si appropriavano anche delle offerte dei fedeli per i sacramenti, gestendo "direttamente il giro dei soldi raccolti in occasione di qualsiasi funzione, come battesimi, matrimoni, comunioni" . Se ne occupava una donna, madre di un personaggio di spicco del clan.

"Il prete impone una determinata cifra agli interessati e poi consegna i soldi – dice De Rosa – questa donna gestisce tutto quello che ruota alle attività della chiesa, si occupa della manutenzione e delle pulizie. I preti passano i soldi alla signora: lo so per diretta conoscenza. Addirittura la donna ha le chiavi delle chiese. Si sono fatti anche appuntamenti di camorra in queste chiese: una volta io stesso ho accompagnato Patrizio Bosti per un appuntamento con Giuseppe Ammendola nella chiesa di San Giovanni e Paolo. Il fatto risale a quando accompagnavo Bosti a firmare".

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