Omicidio di Emanuele Tufano

La Napoli violenta spiegata dai ragazzi: “Qui come le favelas, comanda il più forte”

Dopo l’omicidio di Emanuele Tufano abbiamo incontrato alcuni ragazzi per capire come si passi in età giovanissima dall’innocenza alla ferocia delle armi.
A cura di Luca Leva
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Ci vuole sempre un po’ di tempo per parlare con questi ragazzi, hanno la diffidenza nel sangue, forse da sempre. Hanno bisogno di tempo, del tempo della fiducia. All’inizio ti raccontano la loro versione. Poi, lentamente, quando si aprono davvero, ti raccontano la verità. La loro verità. E ti raccontano di gruppi di ragazzini che passano le giornate a giocare a risiko con i quartieri della città, e con le loro vite, pensando davvero di poter vincere qualcosa.

L’apparenza, dicono,  il sembrare grandi, forti, potenti. Sarebbe questo il premio. “A volte devi prima andarci a sbattere per capire – ci dice Claudio (nome di fantasia) – Io l’ho capito ora che ho quasi vent’anni che non vale la pena buttare sei o sette anni della mia vita così, tra comunità e carcere, per delle sciocchezze che ho fatto a quindici anni”

Storie tutte simili e tutte diverse che parlano di povertà economica, educativa, spesso affettiva, di esclusione sociale e di un senso di rivalsa che assume la forma della rabbia cieca già tra i dodici e i tredici anni. Storie che parlano di ragazzini "usati" dai più grandi, da chi "ha capito come funziona" – ci racconta Giovanni (nome di fantasia). "La maggior parte di questi ragazzi non fanno quello che fanno per se stessi ma per altri. Per qualcuno un po' più grande, magari un po' più intelligente, che ha già capito i rischi del gioco, ha i soldi e si mette sopra di te. Ti indirizza, però sicuramente non nel tuo bene. Il punto è che chi finisce in queste situazioni ci finisce per bisogno, o perché vuole di più,  perché non ha niente da fare o vuole sentirsi guappo. Sono tante le ragioni"

E tra le tante c'è la famiglia dove – come ci racconta Giuseppe (nome di fantasia) " vedi e impari un sacco di cose". "Il problema  – dice – sono la famiglia e la strada. Gia da bambino ti ritrovi un un ambiente dove vedi un sacco di cose illegali, le vedi e le capisci. E finisce che in quel mondo vuoi entrarci anche tu"

Sono dinamiche complesse, e chi semplifica mente, spesso sapendo di mentire. Famiglia, strada, scuola, società, politica. Tutti insieme a dipingere un quadro dai contorni torbidi, ad alimentare e subire un pezzo di città che si ignorerà fino al prossimo morto.

"Tu dov'eri prima che morisse un altro quindicenne"? mi chiede Giovanni. "Da qui bisogna solo andare via, fare i soldi, e a Napoli si torna solo a morire. Qui non ci sono regole, comanda il più forte, è davvero come nelle favelas. Siamo un popolo di ignoranti, e chi non è ignorante sfrutta l'ignoranza"

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