Ispezione anale col manganello, pipì addosso ai detenuti: l’inferno del carcere di Santa Maria
di Nico Falco e Gaia Martignetti
Detenuti costretti a spogliarsi e a restare nudi anche davanti agli agenti donna, pestaggi di gruppo, ispezioni anali col manganello, e poi i "cappottoni": reclusi costretti a passare in un corridoio umano di agenti e bersagliati di colpi fino a restare senza fiato. Leggere le oltre duemila pagine di ordinanza dell'inchiesta che ha portato all'emissione di 52 misure cautelari per agenti della Polizia Penitenziaria e funzionari del Dap è scendere nell'inferno del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), quello che il gip che ha firmato le misure definisce "uno dei più drammatici episodi di violenza di massa perpetrato ai danni dei detenuti in uno dei più importanti istituti penitenziari della Campania" e, senza mezzi termini, "una orribile mattanza".
Le rappresaglie dopo la protesta in carcere
"Il sistema Poggioreale", lo chiama uno degli agenti in una chat tra colleghi, tra i messaggi scambiati prima di quella che, per gli inquirenti, è stata una rappresaglia pianificata. Tutto è avvenuto nell'aprile 2020, dopo una protesta che i detenuti avevano inscenato perché preoccupati della diffusione del coronavirus in carcere, dopo aver saputo di un caso positivo. Quella degli agenti, ritengono gli inquirenti, non fu una reazione di impulso, ma si seguì un modus operandi studiato, forse anche "di routine", tanto da essere identificato col nome di "sistema Poggioreale". Il pretesto erano le perquisizioni, ma il risultato era una valanga di botte.
I detenuti, hanno ricostruito gli inquirenti, erano stati portati in altre stanze, come quelle della socialità, e lì erano stati pestati selvaggiamente; costretti a tenere lo sguardo basso mentre si spostavano, a passare in corridoi di agenti e a subire un "cappottone", e a restare faccia contro il muro perché non potessero capire da dove arrivavano i colpi ma, soprattutto, chi era stato a sferrarli. Perché non potessero, poi, puntare il dito contro un agente preciso davanti al magistrato.
Nelle immagini registrate dalle videocamere di sorveglianza (e finite negli atti dell'inchiesta) si vedono i detenuti che, impossibilitati a reagire ma anche a sottrarsi a quella gragnuola di colpi, cercano di coprirsi per quanto possibile le parti più sensibili; cercano di riparare la testa, i genitali, mentre gli agenti li costringono a strisciare e continuano a colpirli. Uno dei reclusi, ascoltato dai magistrati, racconterà di essere stato picchiato così forte insieme a un altro detenuto che entrambi si sono urinati addosso; quando il medico è passato per controllare le loro condizioni, riferisce, non li ha nemmeno visitati e li ha liquidati parlando di "lievi graffi".
"Le guardie mi hanno urinato addosso"
Terribile il racconto fornito da uno dei detenuti della casa penitenziaria "Uccella", che durante il colloquio psichiatrico ha raccontato episodi che, rileva il pm nell'ordinanza, probabilmente aveva inizialmente omesso "per imbarazzo o disagio, trattandosi di vissuti mortificanti e umilianti, difficili da rievocare e raccontare". L'uomo racconta che i detenuti sono stati picchiati perché non erano rientrati nelle celle, e che lui era stato pestato dalle 16 alle 23.
"Sono stato urinato addosso dalle guardie – dice – ero in una pozza di sangue e mi hanno urinato addosso, sono stato sputato in bocca e in faccia dalle guardie più volte, sono stato massacrato, vi farei vedere la tuta che avevo addosso quando mi hanno picchiato, è piena di sangue".
Ispezione anale col manganello
Tra i tanti episodi raccolti nell'ordinanza c'è quello di un detenuto che ha subito una ispezione anale con un manganello. Era stato portato nella stanza della matricola e lì costretto a spogliarsi e a inginocchiarsi. Picchiato, per costringerlo a consegnare un telefono cellulare che, spiega il detenuto durante l'interrogatorio, si era procurato perché erano stati impediti i colloqui coi familiari. Lui, racconta, il telefono lo aveva consegnato, ma gli agenti erano convinti che ne avesse un secondo. E giù botte.
Era stato minacciato anche con un manganello, che era stato usato per fare pressione sull'ano, poi finalmente lo avevano controllato con "la macchinetta" e avevano constatato che in effetti non aveva un altro apparecchio nelle parti intime. Sentito dai magistrati, il detenuto ha raccontato che il manganello era stato "strisciato". Altri hanno invece raccontato di averlo visto sanguinante, e hanno riferito che avrebbe detto di essere stato penetrato, che sarebbe rimasto diversi giorni a letto per il dolore e che avrebbe mostrato loro le lesioni.
Detenuto sulla sedia a rotelle preso a manganellate
La furia di quelle ore non aveva risparmiato nemmeno un detenuto costretto sulla sedia a rotelle. In uno degli episodi contestati, ricostruito come gli altri soprattutto grazie alle immagini della videosorveglianza interna del carcere di Santa Maria Capua Vetere, acquisiti dai pm, si vede l'uomo che esce dalla cella e viene seguito da un agente in tenuta antisommossa; sia lui, sia il "piantone", ovvero l'altro detenuto che spinge la carrozzella, vengono presi a manganellate per cinque o sei metri. Vengono poi posizionati entrambi con la faccia verso il muro, e lì restano fino alla fine delle "perquisizioni".
Torture nel carcere, 52 misure cautelari
L'inchiesta ha portato all'emissione di 52 misure cautelari, eseguite ieri; 8 di custodia in carcere, 18 agli arresti domiciliari, 3 di obbligo di dimora e 23 interdittive della sospensione dell'esercizio del pubblico ufficio. La maggioranza degli indagati sono agenti della Polizia Penitenziaria in servizio nel cercare di Santa Maria Capua Vetere o impegnati nelle squadre di Intervento e che avevano preso parte alle perquisizioni, ma figurano anche i responsabili dei reparti del carcere sammaritano e il provveditore delle carceri della Campania, Antonio Fullone, per il quale è stata disposta l'interdizione. Per Gaetano Manganelli, ex comandante del carcere, e Pasquale Colucci, comandante del nucleo traduzioni e piantonamenti, sono stati disposti i domiciliari.