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Iptv e camorra: evoluzione del pezzotto, chi lo gestisce e cosa rischia chi lo usa

Oggi il “pezzotto”, lo streaming illegale tramite Iptv, è un affare da centinaia di milioni di euro che fa gola alla camorra. Ma rischiano anche i clienti: fino a 3 anni di reclusione.
A cura di Nico Falco
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Dieci euro al mese, magari 12. Un prezzo contenuto, irrisorio, niente a che vedere con i cento e oltre che sarebbero necessari per vedere tutti quei canali: film, serie tv, programmi. E poi il calcio, ovviamente, traino tra i migliori. È proprio questa la chiave del successo del "pezzotto", evoluzione tecnologica (e molto più diffusa) di quell'accrocchio che negli anni novanta serviva per guardare (a scrocco) le pay tv di allora, Stream e Tele+. Dietro quello che viene percepito come un reato minore, però, c'è tutto un mondo illegale che muove decine di milioni di euro e, manco a dirlo, il controllo della piramide è in mano alla malavita organizzata. E a rischiare sono anche gli utenti: dai mille euro di multa ai tre anni di reclusione.

L'evoluzione del pezzotto: dal ludipipo allo streaming online

La comparsa del pezzotto risale ai primi anni novanta, con la diffusione su larga scala delle pay tv. All'epoca il sistema era diverso, funzionava tutto tramite parabola. Ed era, per certi versi, più complicato. Nel decoder si inseriva una wafer card, una scheda programmabile, su cui erano montati due chip. Tramite un programmatore eeprom, cosiddetto ludipipo, venivano inseriti quei codici (all'inizio custoditi come un tesoro, poi finiti in libera diffusione su siti appositi su Internet) che permettevano di aggirare i blocchi.

Il sistema di diffusione, invece, era lo stesso: poche decine di migliaia di lire, attivazione più "abbonamento" mensile, il reseller di zona che ogni volta (e spesso di domenica, pochi minuti prima delle partite) riprogrammava i chip coi nuovi codici e doveva farlo di persona. Col passare del tempo, e con l'arrivo delle nuove tecnologie, si è evoluto anche il pezzotto: niente più parabola, adesso basta una smart tv e un'app che convoglia tutti i segnali delle trasmissioni, trasformate in traffico dati. E si è evoluta anche la pubblicità: il passaparola funziona ancora, ma il principale canale di diffusione sono le app di messaggistica instantanea, come Telegram, e i social network.

"Si parte sempre da un abbonamento regolare – spiega a Fanpage.it il colonnello Gian Luca Berruti, del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanzachi gestisce organizza presso un'abitazione o un laboratorio una serie di abbonamenti a network televisivi che riproducono un segnale video, frutto di una smart card regolarissima. Attraverso un encoder questo segnale video viene trasformato in un segnale dati, che viene poi replicato su queste macchine noleggiate presso più server house in giro per il mondo e, con una piattaforma di semplicissimo utilizzo, inviato a quelli che hanno sottoscritto l'abbonamento".

Altro punto di forza, oltre al costo molto basso, è la complicità che lega il gestore e il fruitore, entrambi complici nella truffa: il cliente, consapevole di essere nel torto, difficilmente si lamenterà nel caso il pezzotto smetta di funzionare. Ancor meno probabile che denunci. E questo aspetto rende l'affare particolarmente interessante per la malavita organizzata, che con l'Iptv illegale può contare su un gettito costante e continuo. Il danno viene stimato da FAPAV (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) in centinaia di milioni di euro e in circa 6mila posti di lavoro dell'indotto legale all'anno.

Un server Iptv moderno e la vecchia wafer card usata negli anni '90
Un server Iptv moderno e la vecchia wafer card usata negli anni '90

Iptv e camorra: chi gestisce lo streaming illegale

Rispetto al passato, spiega  a Fanpage.it il colonnello Berruti, "la novità sta nel fatto che esistono vere e proprie organizzazioni che gestiscono il business del pezzotto. Dal punto di vista organizzativo si basano su una struttura piramidale: esiste chi organizza, la rete commerciale, e anche quella tecnica, di alto profilo, che si occupa di diffondere il segnale e renderlo difficilmente identificabile". Nelle ultime operazioni, come quella lampo messa a segno in occasione degli ultimi Europei di calcio, gli investigatori hanno riscontrato evidenti collegamenti con la criminalità organizzata e in particolare con la camorra napoletana.

Franco Maccarelli, considerato dagli inquirenti la mente napoletana del pezzotto, avrebbe subito forti pressioni da diversi clan. In particolare, sarebbe stato minacciato dai Lo Russo di Miano, intenzionati a gestire il business al suo posto o, almeno, in società con lui. E non mancano i collegamenti con gli altri gruppi di camorra: uno degli indagati, prima socio e poi principale competitor di Maccarelli, è marito di una donna ritenuta legata, per vincoli familiari, al clan Di Lauro di Secondigliano.

I rischi del pezzotto: quanto costa guardare la tv illegalmente

"Va sfatato il mito che sia un reato grave e che non si venga identificati – conclude il colonnello Berruti – oggi possiamo effettuare dei veri e propri monitoraggi in tempo reale. In questo modo possiamo identificare tutti quelli che, in un determinato momento, sono collegati a un determinato servizio. Una volta che si viene identificati si è passibili, da subito, di una sanzione amministrativa di 1000 euro erogata dal Prefetto. A seconda dei casi, poi, facendo una distinzione tra chi è un fruitore occasionale e chi, invece, fa parte della gestione o lo utilizza abitualmente, si rischia una condanna fino a oltre 3 anni di reclusione".

Inoltre, c'è anche il mercato dei dati e delle informazioni, anche questo strettamente collegato al pezzotto. Diverse inchieste della Guardia di Finanza hanno dimostrato che generalità e identificativi dei sistemi di pagamento dei clienti erano finiti nel circuito delle truffe. Ultima frontiera, i malware: tramite programmi nascosti nelle app è anche possibile agire direttamente sui computer degli utilizzatori, carpendo informazioni sensibili (come per esempio i dati degli account della banca online); ed è anche possibile, con dei bit coin miners, sfruttare al massimo quei dispositivi per produrre criptovalute, ovviamente all'insaputa dei proprietari.

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