“Il turismo a Napoli fa schifo”: da Milano l’accusa (argomentata) di una delle guide più popolari sui social
«Il turismo a Napoli, fa schifo!». Il giudizio non è tranchant, di più. E ci sarebbe di che essere offesi, considerando quanti e quali siano le realtà che oggi lavorano sul territorio partenopeo e quanto abbiano faticato negli anni per emergere. Non ora che la città è nelle classifiche delle più visitate d'Europa, bensì quando era devastata dall'emergenza rifiuti.
Tuttavia basta non fermarsi a questa frase perentoria e andare oltre, leggere tutto. Perché nel post-sfogo su Facebook di Angelo Mazzone, social media manager e ideatore del tour turistico "Milano Segreta", questa frase viene argomentata in maniera approfondita. Il giovane operatore del turismo, originario di Bari e dal 2006 a Milano, spiega come è arrivato a definire «insensato» il turismo "boom" della Napoli di oggi.
«Ho passato 6 giorni a Napoli, e mi sento di fare alcune considerazioni da lavoratore nel settore turismo – afferma -. E lo dico senza peli sulla lingua.
Il turismo a Napoli, fa schifo! È qualcosa di mortificante, sia per la città che per gli abitanti. Il turismo napoletano è ridotto ad un parco giochi dove andare a caccia di qualche personaggio pittoresco da poter fotografare, di un video mentre si beve la famosa "limonata a cosce aperte" mentre il tizio urla, del cantante col mandolino che passa tra i tavoli parlando in dialetto, come in una sorta di zoo, dove i napoletani del centro storico mentre urlano o sfrecciano senza alcuna regola con motorini e auto tra stradine che dovrebbero essere pedonali, sono fenomeni da circo pittoresco da fotografare. Sorvolo sugli innumerevoli palazzi fatiscenti che dovrebbero essere un gioiello, dato Patrimonio Unesco, ma che a quanto pare è bello così, perché "pittoresco"… così si usa dire».
"Poppella aveva più fila di Caravaggio"
Secondo il founder di "Milano Segreta: «Il bello di Napoli è ben altro» ma, spiega che i turisti non lo vedono: «Ho visto un turistificio dove tutti sono in coda si, ma nelle solite quattro-cinque mete più mainstream, pur di dire "ci sono stato, l'ho visto", giusto per il Cristo Velato e nulla più. Le persone chiedono info su dov'è Sorbillo, il murales di Maradona, a Capodimonte, tra i luoghi più iconici per i capolavori ero solo, idem in altri musei come l'Archeologico Nazionale, il più bel tripudio di sculture mai visto in vita mia. Tutto si riduce a mangiare una pizza, un babà e un paio di siti culturali.
Il famoso bar Poppella col suo "fiocco di neve" aveva più coda del Monte di Pietà dal Caravaggio. Non vi è alcuna voglia di ricerca del bello, di uscire dagli schemi, di scoprire la vera essenza della città, che non è per nulla pizza, "limonata a cosce aperte" e Cristo Velato solo perché è il più famoso, ma tutt'altro».
Il caso del murales di Maradona ai Quartieri Spagnoli
Si tratta, giova chiarirlo, di una discussione molto attuale a Napoli, dove gli esperti di turismo si interrogano su quanto quest'andazzo potrà durare nel tempo: una volta finito l'effetto-foodporn il turismo partenopeo che fine farà? Si affloscerà o troverà una nuova via? È interessante vedere questa dinamica osservata dall'esterno.
Spiega ancora Mazzone, che continua il suo racconto: «Sono stato per esempio tra i tanti luoghi alla Farmacia degli Incurabili, luogo storico assurdo! Ero da solo. La signora addirittura era stupita ci fosse un visitatore all'interno del Museo delle Arti Sanitarie (un patrimonio incredibile della storia della medicina italiana). Nell'ultimo report delle associazioni delle agenzie di viaggio, il murales dedicato a Maradona ai Quartieri Spagnoli è stato il secondo sito d'interesse più visitato in Italia. Secondo le stime, sono stati oltre 6 milioni i visitatori arrivati fino al largo dedicato al Pibe de
Oro, più di quelli entrati agli Scavi di Pompei o alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Via dei Tribunali, un tempo sede di botteghe storiche, piccole librerie e artigiani, hanno lasciato spazio a centinaia di friggitorie, pizzerie e limonate varie in un vortice infernale. Interi quartieri ridotti ad una mangiatoia per turisti, con cibi e odori ovunque. La "foodificazione" di massa. L'ossessione per il cibo e le tradizioni culinarie ancor prima che un Caravaggio o un Bernini. Una città "fritta", che è culla d'arte, e che non dovrebbe abbandonarsi a questo tipo di turismo».
E la conclusione del post su Facebook è questa: « Ma questo tipo di turismo non è solo napoletano. A Lecce ho visto lo stesso turismo come a Roma. Sono i tempi che oramai sono brutti, poco interesse per l'arte e troppo per il cibo. Forse, a Milano ancora ci salviamo perché di base la cucina meneghina non è proprio famosa per lo street food né lo prevede. L'odore di fritto si sente e si spiega anche con il fatto che diversi locali non hanno cappe a norma, addossati l'uno all'altro a centinaia per accogliere la richiesta ossessiva del cibo. Ho visto una città stuprata, sfruttata, svilita. E spero che le cose possano cambiare». Tra i commenti, quello dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni che sullo stesso social dice: «Duro, ma da riletterci».