Il rifugio anti-atomico di De Crescenzo-Bellavista fra ironia e paura della guerra
Si narra che l'idea del rifugio anti-atomico venne a Luciano De Crescenzo per il film "Il Mistero di Bellavista" osservando l'attualità. Seconda metà degli anni Ottanta: a Napoli come nel resto d'Italia la Guerra Fredda, le tensione Usa-Urss e l'incubo di una esclation nucleare facevano pensare alla necessità di dotarsi di rifugi antiatomici cittadini. E un assessore partenopeo avanzò la proposta di crearne in città. A Napoli, la città gruviera per eccellenza, quella che usava le cavità in tufo come rifugio anti-aereo durante la Seconda Guerra Mondiale. Il progetto fu accantonato rapidamente, poi arrivò Tangentopoli e nulla fu più come prima. La storia però fu così carina che un grande come lo scrittore-ingegnere ne ricavò una storia da inserire nel sequel di "Così parlò Bellavista".
E così nacque il «modello Sicurat AK 40, rifugio antiatomico per tre persone, resistente ai raggi alfa, beta e gamma», che da Giorgio, architetto genero del professor Bellavista (e nel frattempo emigrato a Milano con la moglie Patrizia), avrebbe voluto vendere a Napoli. Niente da fare: qui al massimo si spera o ci si affida a Maradona o a San Gennaro.
E poi i problemi sono tanti, e più impellenti della minaccia atomica; l'architetto si troverà con stupore e dispiacere davanti ad un altro problema: l'occupazione del rifugio bellico da parte di un senzatetto che all'epoca – cinque anni prima il terremoto del 1980 aveva creato gravi problemi in tal senso – si contavano a decine di migliaia all'ombra del Vesuvio.