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Dieci minuti in media per un treno della metropolitana. Quindici per un autobus cittadino. Se va bene. Cinque minuti per preparare e cuocere una pizza napoletana Dop.
Quattro ore (almeno) per il ragù della domenica: deve “pappuliare”, sobbollire, oppure resta «carne con la pummarola» come scriveva Eduardo in una sua poesia sul cibo.
La musica napoletana è piena di attese. Quella della pioggia, «’e aspiette che chiove, l’acqua te nfonne e va…»; l’attesa dei mesi di primavera: «Torna maggio e torna ammore…»; dei ritorni alla casa «ch'aspetta a te».
Dei cinque giorni in attesa di un accadimento straordinario scrisse Nicola Pugliese in "Malacqua"; la pittura napoletana nel Seicento, la Madonna di Massimo Stanzione mostra le «anime purganti», collocate nella più nota delle attese.
E poi. E poi: il miracolo di San Gennaro cos’è se non una mistica attesa, dentro la fede mista al ciò che è vero per chi crede o verosimile per chi non crede c’è la fatica, la promessa, la giusta ricompensa.
Le lotte e le rabbie di attesa. Per entrare o scalare la graduatoria del concorso. Le liste d’attesa vergognosamente lunghe per una visita medica o un esame ospedaliero. L’attesa il venerdì fuori dal carcere. L’attesa del reddito di cittadinanza e i soldi sono finiti la seconda metà del mese.
Perfino la serie tv più nota del momento parla d’una attesa: «Ci sta il mare fuori», aspettalo e bramalo.
E la città delle contraddizioni è un lungo taglio alla Lucio Fontana, una attesa che tiene annullamento e costruzione. Annullamento di ogni altro impegno, costruzione di una festa che può essere oggi, domani o fra un mese: è l’attesa stessa che contiene la festa. C’è gente che gira da turista, fa festa da giorni e non sa nemmeno per cosa.
Il tempo del lavoro, la sua ricerca e l’attesa della ricompensa sono sintetizzate in uno dei più bei ispanismi della lingua napoletana: «abbuscare». Lo scudetto Napoli se l’è «abbuscato». Mai come stavolta la matematica è solo una opinione.
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