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Il poliziotto al boss: “Mio figlio non deve più spacciare”. In cambio la droga entra nel carcere di Secondigliano

Un agente della Penitenziaria di Secondigliano avrebbe fatto entrare droga in carcere per riconoscenza verso un detenuto, che avrebbe fatto smettere di spacciare al figlio.
A cura di Nico Falco
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Un agente della Polizia Penitenziaria del carcere di Secondigliano avrebbe chiesto aiuto al Nannone, al secolo Antonio Napoletano, affinché convincesse suo figlio a non vendere più droga nel rione San Gaetano, nella zona dei Tribunali, nel centro di Napoli; in cambio, il poliziotto avrebbe iniziato ad aiutare il giovane boss del clan Sibillo facendo entrare droga e altri oggetti vietati dietro le sbarre. La circostanza è descritta nell'ordinanza da 28 misure cautelari eseguita all'alba di oggi dai carabinieri per la piazza di spaccio gestita da detenuti all'interno del carcere napoletano.

A raccontare la vicenda è il collaboratore di giustizia Ciro Niglio, nel corso dell'interrogatorio del primo ottobre 2019. L'uomo, nel descrivere i traffici che avvenivano tra i reparti del carcere di Secondigliano, spiega che gli oggetti proibiti (droga, ma anche profumi e lettori mp3) venivano portati all'interno dall'agente Ottavio De Simone (già arrestato e condannato a 5 anni per corruzione), che all'epoca era Assistente della Polizia Penitenziaria addetto alla spesa. Per ogni carico che entrava, dice il collaboratore, la guardia riceveva 500 euro. Nel novembre 2015 finì in carcere Antonio Napoletano, detto ‘o Nannone, boss emergente del clan Sibillo del centro di Napoli. Dopo qualche giorno, racconta Niglio, si era presentato alla cella un appuntato, a lui noto come Luigi, che conosceva il ragazzo in quanto entrambi originari della stessa zona (si tratterebbe in realtà di Salvatore Mavilla, destinatario di misura in carcere).

Agente col figlio spacciatore chiede aiuto al baby boss

Niglio avrebbe quindi spiegato a Napolitano il sistema che veniva utilizzato per far entrare prodotti vietati in carcere e avrebbe cercato di sfruttare la sua conoscenza con l'agente, chiedendogli di unirsi a lui nel traffico. L'appuntato che poco prima era stato nella cella avrebbe chiesto una cortesia a Napolitano: intercedere con gli altri affiliati del rione San Gaetano affinché convincessero il figlio a smettere di vendere droga. Il Nannone si sarebbe impegnato e in cambio l'appuntato avrebbe fatto entrare una stecca di hashish. Da quel momento sarebbe cominciata una vera e propria collaborazione: l'agente avrebbe fatto entrare in carcere gli oggetti che gli venivano consegnati dall'esterno, senza chiedere nulla in cambio perché, si legge nell'ordinanza, "era riconoscente per avere fatto in modo che il figlio non spacciasse più".

La droga nel carcere di Secondigliano grazie al poliziotto "riconoscente"

Successivamente fu arrestato anche Ciro Contini, nipote del capoclan Eduardo, che già conosceva l'appuntato e fu quindi coinvolto nei traffici illegali. Attraverso l'agente avrebbe fatto entrare panetti di hashish. Racconta Ciro Niglio: "la droga veniva procurata a San Gaetano e suddivisa in dosi dal fratello di Antonio Napolitano, Daniele, il quale infilava i vari pezzi di hashish in più preservativi che poi venivano chiusi e messi all’interno di palloncini di plastica gonfiabili, i quali poi ben chiusi venivano inseriti all’interno delle bottiglie di bagnoschiuma Vidal, di colore nero, che erano dello stesso tipo di quelle che venivano vendute allo spaccio del carcere e che potevano tranquillamente acquistarsi con la spesa. Una volta confezionate le bottiglie di bagnoschiuma con la droga, venivano direttamente consegnate da Daniele all’appuntato Luigi il quale ce le faceva poi recapitare in carcere sempre al turno di mezzanotte nascondendole all’interno delle maniche del giubbotto di ordinanza".

Il traffico sarebbe andato avanti fino a quando non fu sequestrato al gruppo un cellulare, fatto arrivare sempre tramite lo stesso agente, che non sarebbe stato pagato per la sua complicità ma che avrebbe ricevuto saltuariamente 500 o mille euro da Ciro Contini. E sarebbe stato ancora l'appuntato che avrebbe procurato al gruppo un telefono cellulare con quattro o cinque schede sim "pulite" quando, con la scissione interna nella Paranza dei Bimbi, le famiglie Sibillo, Amirante e Contini si staccarono dai Rinaldi.

L'agente accusato di collaborare col gruppo Vigilia

Durante l'interrogatorio Niglio aveva riconosciuto tale Luigi nella foto di Salvatore Mavilla, detto il Mandrillo, l'unico dei 4 agenti della Penitenziaria destinatario di misura cautelare in carcere (per gli altri sono scattati i domiciliari). L'uomo è chiamato in causa anche dal collaboratore Enzo Grillo, secondo il quale era parte integrante del sistema organizzato da Alfredo Vigilia Junior, figlio del boss omonimo di Soccavo, che tramite lui faceva entrare in carcere droga e telefonini facendo pagare ai parenti dei detenuti 400 euro per ogni pacchetto e dividendo a metà col poliziotto.

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