Il “Natale in casa Cupiello” di Vincenzo Salemme è la magia di Eduardo che riesce ancora
Il debutto napoletano del “Natale in casa Cupiello” diretto e interpretato da Vincenzo Salemme è andato com’era presumibile: pienone al Teatro Diana di Napoli, applausi a scena aperta, soddisfazioni e tanti sorrisi. Ci sono altri livelli di ragionamento interessanti : l’approccio di Salemme al capolavoro che Eduardo De Filippo scrisse come atto unico e portò in scena la prima volta nel 1931, quasi un secolo fa. E la reazione dei napoletani di oggi, anno 2023, quasi 2024.
Eduardo aveva 77 anni quando indossò i panni di Luca Cupiello nella celebre trasposizione televisiva che noi tutti conosciamo, l’edizione teleteatro che la Rai da un anno ha incredibilmente rimosso dai suoi canali per una questione irrisolta di diritti televisivi. I suoi gesti, la «tumità» (termine napoletano traducibile solo in parte come «serietà, gravità, atteggiamento») ci nella memoria di tutti coloro che l'hanno amato e lo amano. Così come i suoi gesti e i silenzi, parte fondamentale del suo modo di recitare.
Vincenzo Salemme di anni ne ha 66 e la sua lunga e fortunata storia artistica si è incrociata con quella del «direttore» e del figlio Luca, prematuramente scomparso. Mette in scena un Cupiello fatto d'allegria, che comunica una serena consapevolezza d’artista. È teatro, non è un prodotto confezionato per la tv, non per una piattaforma streaming. È teatro, con tutte le sfumature, le imperfezioni, la magia dell'eduardiano «tavola-tavola, chiodo-chiodo».
È un vestito che deve starti bene addosso e Salemme lo ha adattato con rispetto al suo modo di stare in scena: è la versione riportata nei testi più noti (Teatro Einaudi, Meridiani Mondadori) più le sfaccettature dell’edizione Rai del ’77, più Salemme e la sua comicità rapida, fatta di accelerate e ripartenze. Dove c’erano i silenzi di Eduardo nel primo e secondo atto, ci sono le parole di Salemme che riempie, caricando la battuta. Dove prima si rideva, oggi si ride di più. Esempio? La «schifezza» del caffè di Concetta, duetto del primo atto ma più volte sottolineato nel resto della commedia.
Cosa se ne ottiene? Risate e applausi, sicuramente. Ma pure un ritmo più serrato, che contrasta la distrazione odierna dello spettatore medio, necessitante di costanti sollecitazioni. «Grazie, ma non mi migliorate» diceva Eduardo perfidamente a chi fra gli attori improvvisava rispetto al testo. Salemme nel suo Cupiello fa, non strafà: la sensazione è quella del manufatto d'artigianato che passa da una bottega all’altra.
Dunque bello, dunque godibile. E bello è stato anche vedere in galleria al "Diana" i ragazzi (non tantissimi ma c’erano). Persone che probabilmente assistevano al dramma e ai battibecchi di Luca e Concetta per la prima volta: un testo che ha quasi un secolo li ha tenuti con gli occhi fissi per un’ora e cinquanta; di questi tempi è quasi un miracolo.
La musica di Nicola Piovani, discreta e bella, ha accompagnato inizio, intermezzi e finale. Alla fine ovviamente tanti applausi, gli attori hanno contribuito tutti al successo (sold-out per settimane, quindi al botteghino lo è già). Non dev’essere stato facile per Fernanda Pinto interpretare Ninuccia sapendo che in platea sedeva Lina Sastri che ne fece un personaggio incontenibile, rimasto nella storia; nel terzo atto, il più cupo e delicato, Antonella Cioli è stata una Concetta davvero convincente, così come zio Pasqualino (Franco Pinelli) e il davvero bravo Antonio Guerriero, Tommasino, ruolo che consacrò il mai troppo compianto Luca De Filippo.