Cosa c’è scritto nel libro di Vincenzo De Luca: accuse, diario dei sogni della Campania. E zero autocritica
L'operazione è perfetta. A poco meno di due anni dalla scadenza naturale della legislatura e dalle Elezioni Regionali in Campania, Vincenzo De Luca pubblica per Piemme un libro-consuntivo della prima fase del suo secondo mandato da presidente della giunta regionale. Lasciamo perdere per un attimo il titolo polemico, "Nonostante il Pd", concentriamoci sul contenuto oltre il rapporto conflittuale con il partito di cui fa (farebbe) parte.
De Luca, politicamente cresciuto nel Pci (più che un partito, un mondo di vivere) e per giunta non in una grande città ma nella Salerno degli anni Settanta-Ottanta, ama arroccarsi e attaccare, non conosce aperture a diverse opinioni né autocritiche. Sbagliano gli altri e casomai la sua azione si rivelasse fallace non è lui a sbagliare ma chi gli è vicino, chi lo consiglia.
È un concetto ben chiaro se ci si immerge nella lettura del De Luca-pensiero. Poco più di 250 pagine, l'iniziale metà delle quali necessarie ad estrinsecare il Verbo, la seconda parte, invece, sostanzialmente costituita dalle schede dei vari assessorati regionali, niente più che un bilancio di mandato, un "libro dei sogni", soprattutto in alcuni settori come la sanità (ospedali) e trasporti.
La domanda è: Vincenzo De Luca aveva bisogno di un libro per farsi sentire? Assolutamente no. La sua voce è forte e temuta (dal Sele al Garigliano, poi viene meno). Egli non ha solo il potere di creare dibattiti, ma pure quello di farli fallire. Si pensi alla dialettica interna al Partito Democratico locale, per anni azzerata per mollezza dei suoi dirigenti, impauriti di "dispiacere" al presidente e ai suoi maggiorenti.
De Luca ogni venerdì gode di una platea in parte personale in parte istituzionale, il cosiddetto "punto della settimana", diretta social dal Palazzo coltivata attentamente negli anni da sindaco di Salerno ed esplosa in audience con la pandemia di Covid, quando migliaia di persone si collegavano, anche da fuori regione, per sentirlo parlare, sbraitare, insultare. Un meme vivente: su Whatsapp chiunque in Campania ha uno stickers o una gif con De Luca e le sue frasi.
C‘è chi ama il suo tono scorretto, greve, iperbolico e a volte davvero fuori luogo, quasi volgare. A molti viene a noia dopo la trecentesima battuta in luogo di risposte vere; altri ormai dovrebbero cedergli il quinto dello stipendio per le pluriennali parodie (uno su tutti: Maurizio Crozza).
In Campania ci si divide fra coloro che lo amano ciecamente, coloro che lo criticano e non votano nessun altro, coloro che non lo sopportano (ma lo votano), coloro che lo contestano e mai lo voteranno e infine – gli insospettabili – che si eccitano quasi fisicamente al suo piglio da sceriffo e sussurrano: «In Campania non abbiamo nessuno…è l'unico che sa parlare così». De Luca questo lo sa.
Perciò egli ha fiducia. Perciò scrive il libro per portarlo in giro e fare campagna elettorale precoce. Il presidente infatti punta a modificare la legge regionale e ricandidarsi la quarta volta consecutiva alla guida della Regione Campania (le ultime due volte ha vinto), restando da ultrasettantenne in sella.
Spera che il Pd di Elly Schlein capitoli alle Elezioni Europee 2024 e che possa avere abbastanza margine di manovra per trattare un altro giro di giostra. Nel frattempo è necessario demolire, scassare. L'ariete di Salerno questo lo sa fare. Da una vita.
Il libro contiene niente più niente di meno di ciò che ‘o governatore (o Pol Pot o Vicienzo ‘a funtana, l'aneddotica salernitana è infinita) va dicendo da anni. Critica feroce al Partito Democratico – non è il primo, non sarà l'ultimo – e a tutti i suoi segretari (forse perché non si chiamano De Luca); critica a tutti i capi di governo (forse perché non si chiamano De Luca); critica a tutti i leader di partito, centro, destra e sinistra. E anche qui viene il sospetto: forse perché non sono Vincenzo De Luca?
Se ne esce esausti: sostiene Vincenzo che oltre il suo sistema di pensiero non c'è niente, hic sunt leones.
Dove sia l'autocritica (che perfino nel PCI si insegnava) non si sa, sicuramente non in questo libro, dove Egli si santifica e s'incensa e si getta retoricamente la croce addosso. Si lamenta dei pochi fondi di governo sulla sanità, non una parola su certi disastri ospedalieri cui sono soggetti tutti i campani da un decennio governati dalla sua Regione.
Ogni inchiesta giornalistica che riguarda il suo agire è «camorrismo pseudo-informativo»: del resto il presidentissimo non apprezza né le domande né chi le pone. Vuole scegliersi gli interlocutori e li vuole leziosi e docili. Come ogni politico.
Nel libro De Luca rende note le sue lettere a prefetti, presidenti, questori e ministri, non vi sono però le voci di chi questo sistema l'ha contestato civilmente, scrivendo proprio al Presidente della giunta regionale della Campania senza riceverne risposta.
Nel 2019 la ricandidatura, pochi mesi prima della pandemia da Covid, era assolutamente in discussione. Fu “merito” di quel periodo eccezionale e fu la sua grande strategia politica di fermezza (almeno comunicativa) a trasformarlo in un punto di riferimento e garantirgli il bis.
Ironia della sorte proprio lui, che per anni ha lamentato l’uso dei social network in politica (usati soprattutto da quello che un tempo era il Movimento Cinque Stelle in Campania, oggi molto più docile nei confronti della maggioranza regionale ) dovrebbe dire grazie oggi a questi strumenti .
Non dice mai grazie, De Luca. Ma in cuor suo questo lo sa: ha aperto un account TikTok e lì spopola; nei talk show tipo Fabio Fazio è a suo agio.
Forse il suo futuro potrebbe essere quello di primo creator della politica italiana.