Il cimitero delle 366 Fosse in Mare Fuori 5: la storia del luogo in cui appare la cappella della famiglia Ricci

Le lapidi sullo sfondo, le file di sepolture con le candele: quello che si vede nel finale di stagione di Mare Fuori 4 (e all'inizio della quinta stagione) è uno dei cimiteri più conosciuti di Napoli e più strettamente connessi alla storia della città. Il nome ufficiale è "Cimitero di Santa Maria del Popolo", ma i napoletani lo conoscono con quello comune: "Cimitero delle 366 fosse". È lì che gli sceneggiatori hanno deciso di collocare la cappella della famiglia Ricci, creando una location che (senza lasciarsi andare a spoiler) sarà fondamentale per la trama della serie Tv. La nascita del cimitero risale al 1762, con l'incarico affidato all'architetto Ferdinando Fuga; agli inizi di febbraio è stato sottoposto a sequestro: per decenni sono stati costruiti loculi abusivi che hanno manomesso il monumento.
Il luogo chiave di Mare Fuori
La stagione precedente si chiude proprio nel cimitero: Rosa Ricci (Maria Esposito), dopo aver abbandonato Carmine Di Salvo (Massimiliano Caiazzo) rinunciando all'ultimo momento di sposarlo, torna tra le lapidi. Lo stesso posto dove poco prima era andato Edoardo Conte (Matteo Paolillo) e dove il giovane camorrista viene ucciso e rinchiuso in una delle sepolture. Ed ancora, è il posto dove Luigi Di Meo, detto "Cucciolo" (Francesco Panarella), è andato col fratello, Raffaele Di Meo, alias "Micciarella" (Giuseppe Pirozzi) alla ricerca del tesoro nascosto di don Salvatore Ricci (Raiz). E, anche con la nuova stagione, il cimitero avrà un ruolo fondamentale: Rosa scoprirà una verità sconvolgente sulla sua famiglia.
Il cimitero delle 366 fosse a Napoli
Il progetto del cimitero nasce nel 1762, tre anni dopo la partenza di Carlo di Borbone per la Spagna. L'architetto Bernardo Tanucci si rivolge all'architetto fiorentino Ferdinando Fuga per la realizzazione di un cimitero per il popolo, da costruire sulla collina di Poggioreale.
Da allora la struttura assume una funzione chiave per il ciclo vitale dei meno abbienti della Napoli borbonica: le persone vengono accolte nel Real Albergo dei Poveri (costruito da Fuga nel 1751 per i senza fissa dimora) e, al decesso, i resti vengono sepolti nel cimitero delle 366 fosse e non più, come accadeva prima, in aree periferiche o nella fossa dell'ospedale degli Incurabili.
Il cimitero, con pianta quadrata, è composto da 19 file con 360 pietre tombali, su ognuna delle quali c'è un numero arabo scolpito a mano. La numerazione era usata per in base al giorno del decesso: la prima fossa corrispondeva al 1 gennaio e così via, mentre per gli anni bisestili veniva la numero 266 corrispondeva al 29 febbraio.
Nonostante si trattasse di sepolture più degne rispetto a quelle comuni, la procedura prevedeva che i corpi venissero gettati nelle fosse; le cose cambiarono nel 1875, quando una baronessa inglese, che aveva perso la figlia nell'epidemia di colera che ci fu a Napoli (la quarta, dal 1863 al 1875), donò un argano col quale i morti potevano essere adagiati all'interno delle fosse.




