Il boss Pecorelli del clan Lo Russo al 41 bis: impartiva gli ordini anche dal carcere

È stato disposto il carcere duro per Oscar Pecorelli, detto "‘o Malommo", ritenuto uno degli storici boss del clan Lo Russo: il ministro della Giustizia ha firmato il decreto con cui si dispone il trasferimento al regime del 41 bis, ovvero il carcere duro, con conseguente limitazione nei contatti con gli altri detenuti e i familiari. La decisione è fondata sulla pericolosità del 46enne: secondo indagini di recente sfociate in misura cautelare, nonostante fosse detenuto e già da tempo continuava a guidare il clan dei "Capitoni" impartendo ordini su strategie ed estorsioni.
Il cambio di regime carcerario, anticipa il quotidiano Il Roma, è stato notificato ieri nel carcere di Agrigento. Pecorelli, detenuto dal 2010 per una condanna all'ergastolo, era stato nuovamente arrestato il 24 gennaio scorso insieme alla moglie e al figlio, per il quale erano stati disposti i domiciliari. Le accuse, a vario titolo, erano di associazione armata di stampo mafioso, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, estorsione e usura aggravate dal metodo mafioso, frode fiscale e accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, l'ordinanza era stata eseguita dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e personale del Nucleo Investigativo Centrale di Roma della Polizia Penitenziaria, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata.
Il "Malommo", che all'epoca si trovava nel carcere di Opera, avrebbe usato Whatsapp ed email, attraverso telefoni cellulari fatti arrivare in carcere, per impartire direttive agli affiliati sulla riscossione delle estorsione. Inoltre la famiglia avrebbe usato i capitali illeciti concedendo prestiti usurari e pretendendo la restituzione del denaro facendo ricorso a minacce e intimidazioni. Il denaro sarebbe stato quindi reinvestito attività di vari settori come commercio di calzature, cuoio e pellame, lavanderia e trasporto su gomma, e sarebbero stati usati dei prestanome sia per aggirare eventuali misure di prevenzione patrimoniali sia per finalità speculative e per frodare il fisco con false fatture, quantificate in circa 10 milioni di euro. Coi soldi contanti sarebbero stati acquistati anche orologi di lusso, pagati con criptovaluta.