“I genitori vogliono che gli ‘aggiustiamo’ i figli. Ma i ragazzi dipendono dal comportamento degli adulti”
Ragazzini che girano armati di coltelli o pistole, violenza cieca che si manifesta nelle strade, fino ad arrivare agli omicidi per una parola di troppo, oppure a spararsi incidentalmente mentre si maneggia la pistola che ci si è procurati da soli. Napoli ha vissuto una sequenza di fatti tragici con protagonisti minorenni o adolescenti che ha scosso l'opinione pubblica. Si tratta certamente di un fenomeno che attraversa molte capitali mondiali, condizione che non esime dall'affrontare la drammaticità del fenomeno in una città pervasa in ogni caso dalla presenza della criminalità organizzata.
Nelle ultime settimane le parole delle istituzioni sono state flebili, da parte del governo nemmeno una riga, dopo che circa un anno fa il "Decreto Caivano" , incentrato sull'inasprimento delle pene, veniva presentato come il modello di intervento contro la criminalità minorile, non portando ad oggi a nessun tipo di contrasto concreto rispetto al fenomeno. Anzi, il partito di governo, Fratelli d'Italia, ha pensato bene di prendersela con Roberto Saviano, autore di "Gomorra", parlando di spirito di emulazione rispetto ad un film uscito la bellezza di 16 anni fa ed una serie Tv messa in onda 10 anni fa. Abbiamo deciso di andare tra gli operatori, quelli che animano le educative territoriali, che stanno a contatto diretto nei quartieri popolari con i bambini ed i ragazzi difficili. A loro, in ultima istanza, sembra essere stato quasi delegato per inefficienza di altri mezzi, il dover affrontare il problema. Siamo andati al centro territoriale "Il Mammut" di Scampia, dove da 20 anni ci si occupa di lavorare sui minori del territorio.
"Da noi si pretende di aggiustare i bambolotti rotti"
Giovanni Zoppoli, psicologo, da 30 anni si occupa di intervento sui minori, è una delle anime del "Mammut" a Piazza Giovanni Paolo II a Scampia, una struttura che prende il nome della forma del colonnato sotto cui nasce l'edificio che ospita le loro attività da qualche decennio. Da qui sono passati ragazzi che hanno trovato la giusta via, ma anche chi invece ha preso la strada del lato oscuro. Da queste parti, anche per "anzianità di servizio" ci viene mostrato anche un quadro storico recente di come è cambiato l'intervento delle istituzioni rispetto ai cosiddetti minori a rischio. "Quello che è cambiato – ci dice Giovanni Zoppoli – che oggi tutto è stato delegato agli specialisti, ovvero gli operatori, i maestri, i docenti, è roba loro, devono riuscire loro a risolvere i problemi, c'è una delega totale da parte del pubblico. Un tempo non era così, c'era molto di più, c'era una società civile, se vogliamo anche un pensiero politico, veniva considerata una questione politica quello che succedeva nella città". Gli stessi operatori del terzo settore a cui gli enti locali hanno "delegato" l'educazione dei minori, vivono in condizioni economiche precarie, che incide in maniera importante sul livello e la qualità di lavoro svolto. "Gli educatori sono peggio di 30 anni fa, sono trattati come carne da macello, c'è stata una grande deprofessionalizzazione, la pubblica amministrazione ha esternalizzato ma non c'è stato un miglioramento" sottolinea Zoppoli.
Eppure basta guardare i dati per comprendere come l'intervento principale da parte delle istituzioni dovrebbe riguardare proprio questo segmento della società, se si vuole garantire la tranquillità delle famiglie e la sicurezza sociale. Un recente rapporto di Save the Children ha mostrato come in Campania un minore su tre vive in condizioni di povertà, i dati di Openpolis ci dicono che in Campania il 16% dei minori abbandona gli studi, con picchi più elevati nei quartieri popolari di Napoli, in una regione dove il 46,3% della popolazione è a rischio esclusione sociale. Numeri agghiaccianti che vanno di pari passi al disimpegno del pubblico sul questo tipo di interventi. "Dagli educatori, dai maestri, dai docenti, si pretende che aggiustino il pupazzo praticamente, abbiamo il bambino che non funziona e tu me lo devi aggiustare, è un'assurdità" spiega lo psicologo. "I genitori arrivano nei centri con una pretesa: tu mi devi aggiustare il bambolotto. Perché io non posso farci niente, non posso cambiare, non posso fare niente, lo devi fare tu, te lo metto nelle tue mani e lo devi aggiustare. Questa cosa è un delirio collettivo, non ci si rende conto che i figli dipendono dal comportamento degli adulti, e se tu cambi il tuo comportamento cambia anche quello di tuo figlio".
"I ragazzi assorbono solo odio, sopraffazione e violenza"
Mentre il partito di governo attacca Roberto Saviano, i film ed i libri, si perde di vista una cosa semplicissima: i bambini si comportano nel modo in cui vedono fare gli adulti. È curioso che proprio in Italia, di questi tempi, ci si sorprenda così tanto delle violenza minorile. La cronaca ci parla di sottosegretari che sparano con le pistole a Capodanno, di leggi, come il DL 1660, che consentiranno a 300 mila appartenenti alle forze dell'ordine di avere una seconda pistola fuori da quella di ordinanza per quando non sono in servizio, per non parlare del linguaggio, usato dai politici come banalmente dagli influencer sui social, fatto di violenza e sopraffazione.
"Un ragazzo che oggi sta davanti alla Tv o passa il giorno a scrollare i social quello che apprende sono i valori della società prevalente, che sono la competizione, la lotta, si salvi chi può, lo straniero è mio nemico, se usi la forza per affermarti sei uno bravo e se non lo fai sei uno scemo" sottolinea Zoppoli. "A questo punto noi che affermiamo che le cose debbano andare diversamente, non possiamo più lasciare il presidio dei valori a chi crede invece fermamente in quei valori".
L'espressione che spesso si usa è che "il tessuto sociale è sfilacciato", sarebbe più corretto forse parlare di imbarbarimento delle relazioni sociali, e no, non quelle dei ragazzini, ma innanzitutto degli adulti. Scoppia lo scandalo se un 18enne va in giro con il coltello o la pistola, mentre tutti i giorni dagli adulti e dai personaggi pubblici riceve solo questo tipo di modello. Quando la brutalità della realtà esplode con i fatti di sangue che salgono agli onori della cronaca, si reclamano soluzioni. "La punizione è ancora l'unica arma che educatori, Stato e polizia usano, pur sapendo che questa cosa, lo si sa da decenni, non funziona, non è questa la via per cambiare le cose. La via è la costruzione di comunità, ma è anche il riprendersi la responsabilità del proprio ruolo, anche quello degli adulti e dei genitori".
"L'intervento dei privati nel sociale è solo per progetti spot"
Mentre l'intervento degli enti locali è stato esternalizzato, mentre progetti storici come quello dei maestri di strada del progetto "Chance" sono stati chiusi negli anni, il "mercato" del sociale ha visto apparire i finanziamenti privati. Un fenomeno sempre crescente, a cui spesso si lega la sopravvivenza stessa degli enti del terzo settore, sempre più entità che devono inventarsi un modo per sopravvivere, piuttosto che strumenti di potenziamento dei servizi pubblici. "I progetti dei privati sono quelli delle fondazioni, spesso quelle bancarie, ma anche quelle dei privati in generali – racconta Zoppoli – questo avviene mentre al pubblico resta un intervento ridotto all'osso, non fanno nemmeno più la supervisione, è rimasto solo l'intervento di routine, il minimo indispensabile. I progetti dei privati mirano soprattutto ad un racconto, sono azioni tra il racconto e la burocrazia, tu devi soddisfare una serie di richieste come se fosse un balletto. Anche se stai facendo il dopo scuola, devi fare vedere che stai facendo una cosa spettacolare, che è vendibile, così poi si possono fare i post sui social, dire che sto facendo qualcosa. Sono robe che non cambiano niente". L'intervento dei privati nei progetti di welfare rischia di condizionare l'azione stesse, visto che rappresenta oggi una fonte di finanziamento fondamentale per gli enti del terzo settore. "Noi dovremmo scompaginare, essere un grimaldello di cambiamento, c'è bisogno di un ritorno della politica, la questione va rimessa nei termini dei valori di una società che vuole rivoluzionare se stessa, altrimenti niente è possibile". Pochi giorni fa in Piazza del Gesù si sono ritrovati operatori sociali, associazioni e cittadini, dopo l'ennesima morte di un ragazzo a colpi d'arma da fuoco. Una pizza preoccupata, potremmo dire spaventata, in cui però si è stentato ad indicare le priorità. Una piazza ad un certo punto invasa dalla politica e dalle istituzioni, le stesse che governano la città. "Dobbiamo ritrovare i valori intorno cui vogliamo rifondare una città e battersi per questi" dice Zoppoli, al termine di un'analisi che non lascia assoluzioni. Le istituzioni, la società civile, i genitori, la politica, gli stessi operatori, i maestri, i docenti. Davvero possiamo arrivare a pensare che se un ragazzo muore a 15, 18 o 19 anni per un colpo di pistola, la colpa sia davvero la sua?