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I 10 anni di Napoli che Pino Daniele non ha visto (ma ha raccontato)

Dieci anni senza Pino Daniele, Napoli vive un prima e dopo. La sua musica, radicata nel dolore e nella speranza, ha raccontato una città che cambia.
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Come per i grandi avvenimenti che segnano la vita di una generazione, per i napoletani c'è un prima e dopo. E il ricordo di cosa stessero facendo quando lo hanno saputo. È avvenuto di notte, la notizia si è è propagata di buon mattino: «È morto Pino Daniele». Dieci anni fa. Dieci anni e decidete voi: sembra una vita o è suonno d'ajere?

Anagraficamente Pino, essendo nato nel 1955, era a pieno titolo nella «generazione boomers». Una definizione che oggi individua le persone conservatrici e paternalistiche, poco aperte alle nuove tendenze. Nulla di più lontano da lui, un uomo che ha costruito tutto il suo mondo fatto di musica e parole senza particolari sostegni esterni, in un contesto familiare, sociale (e di salute fisica, aggiungerei) nient'affatto facile, con la sola forza del suo talento e l'ispirazione che pochi hanno avuto (conoscete la storia di "Napule è"?).  L'inizio del 2025 segna anche l'inizio della «generazione beta» (2025-2038). Questi ragazzi lo conosceranno? Lo ascolteranno? Lo ameranno, come abbiamo fatto noi? L'ottimismo della volontà stavolta non ha pessimismi che lo contrastano: ad un decennio dalla sua morte Pino Daniele è entrato nell'immaginario collettivo, nella storia contemporanea di Napoli.  Qualcosa di difficile da cancellare, perfino per un mondo che vive di scroll.

La scomparsa di una persona cara per coloro che restano si sostanzia nel resto della vita in una crudele domanda: «Cosa avrebbe fatto, pensato, detto?». Possiamo immaginarci qualsiasi risposta, non sarà mai quella giusta. ‘O munno ‘a verità ci è ancora precluso: non sappiamo cosa Pino avrebbe detto, fatto, pensato della Napoli di oggi.

Il ragazzo che a diciotto anni, affacciato sul Lungomare di Partenope, scriveva d'una «carta sporca» cui non importa a nessuno, cosa avrebbe pensato della città di oggi straripante di turisti? Ricordo il Pino Daniele affranto che partecipa ad una campagna ambientale di governo negli anni della crisi dei rifiuti in Campania. Cosa avrebbe detto davanti ai vicoli strapieni di visitatori? Anche stavolta a Napoli «‘o ‘mericano  è ‘na sacca sicura» ma non è più un militare della Nato con cioccolate e dollari, è un turista con American Express sceso dalla nave da crociera o da un Boeing.

Lui ne sarebbe stato contento? O avrebbe visto dei rischi? La Napoli milionaria di oggi sarebbe finita nelle sue canzoni, nella musica? Oppure il suo cammino sarebbe continuato, con le radici ncuollo come un tatuaggio ma proteso nel cercare sonorità africane, sudamericane, nello scoprire fratelli di polifonia tipo Gesualdo Da Venosa, come spiegò Ezio Bosso? Noi non lo sappiamo e non lo sapremo mai, non possiamo prendere la sua memoria per farne proiezioni a nostro piacimento. Siamo e vogliamo rimanere "Pinonauti": navighiamo nelle sue canzoni.

«L'importante è il sentimento».

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Negli anni del post-terremoto del 1980, strappo storico ed emotivo nella sua produzione iniziale, Pino Daniele cantò Napoli in uno dei periodi più cupi della città: corruzione, camorra, degrado, speranze ridotta al lumicino. Vide bellezza e speranza dove nessuno avrebbe mai pensato.

«Facciamo un blues e ce ne andiamo».

Abbiamo un debito con Pinotto: se esiste la Napoli di oggi lo dobbiamo anche a lui. Con la sua Gibson Les Paul, con la Paradis Avalon, tra jazz, blues, miscela funk e tarumbò, coi testi scritti nell'agenda, la cesura tra la rassegnazione e la speranza, tra la tragica realtà e l'immaginario poetico. Con lui succede quel che accade con le pietre angolari, i muri portanti: come un masso di tufo che ha resistito alle scosse dobbiamo anche a lui se tutti noi, oggi, siamo ancora in piedi.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. È autore del libro "Se potessi, ti regalerei Napoli" (Rizzoli). Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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