Guerra di camorra a Ponticelli: cancellati ergastoli per l’omicidio che ha scatenato la faida
C'è un altro tassello che va a inserirsi nella faida di camorra che, non più sotto traccia, si è trasformata ormai in guerra aperta a Ponticelli, nella periferia est di Napoli. Come la tessera di un domino, che viene giù e fa crollare di conseguenza tutte le altre, facendo precipitare di nuovo il quartiere nel terrore: la Corte d'Assise di Appello di Napoli ha cancellato l'ergastolo per Salvatore De Micco e Gennaro Volpicelli, che in primo grado erano stati condannati all'ergastolo.
La sentenza è del 5 ottobre, poche ore prima che i killer di camorra uccidessero davanti alla compagna incinta Carmine D'Onofrio, probabilmente ammazzato soltanto perché figlio illegittimo di un boss dei De Luca Bossa. Salvatore De Micco e Gennaro Volpicelli sono due nomi ben noti agli inquirenti: il primo è il fratello di Marco De Micco, il "Bodo", scarcerato a marzo e considerato il regista della strategia del terrore a Ponticelli nella faida che vede contrapposto il suo clan con i De Luca Bossa; a lui sarebbe stato diretto, come intimidazione, l'ordigno esploso la settimana scorsa in via Piscettaro.
L'altro è il nipote di Mario Volpicelli, il commesso di 53 anni ucciso nel 2016, probabilmente in una vendetta trasversale: estraneo alla camorra, avrebbe pagato con la vita la parentela con Ciro Sarno detto ‘o Sindaco (ne aveva sposato la sorella) nell'ambito della vendetta contro i pentiti dei Sarno quando divennero definitive le condanne per la strage del bar Sayonara del 1989.
L'omicidio che ha scatenato la faida di Ponticelli
Salvatore De Micco e Gennaro Volpicelli erano imputati per un duplice omicidio avvenuto nel 2013 nel rione Conocal di Ponticelli. Vittime Gennaro Castaldi, considerato il reale obiettivo dell'agguato in quanto legato al clan D'Amico, e Antonio Minichini, ucciso verosimilmente solo perché all'arrivo dei killer era insieme all'amico; il secondo, considerato estraneo a dinamiche di camorra, era figlio del boss Ciro Minichini e di Anna De Luca Bossa, donna boss e sorella di Antonio De Luca Bossa, alias Tonino ‘o sicco, e fratellastro di Michele Minichini "Tiger".
Martedì, la sentenza di assoluzione che ha ribaltato quella del primo grado. Determinanti le incongruenze riscontrate nei racconti dei pentiti, che pur indicando i due come autori dell'agguato non hanno chiarito il momento in cui è stato deciso il raid. La cancellazione dei due ergastoli è arrivata in un momento fondamentale per il clan De Micco, quello della riorganizzazione sul territorio, insieme ai De Martino del rione Fiat, e dell'assalto contro i De Luca Bossa. Poche ore dopo, l'omicidio di Carmine D'Onofrio, legato, ma solo da vincoli di parentela, a Tonino ‘o Sicco.
Agguato a Ponticelli, Carmine D'Onofrio ucciso davanti alla fidanzata incinta
Qualche ora dopo la sentenza, intorno alle due del mattino della notte tra il 5 e il 6 ottobre, i killer entrano in azione in via Crisconio. L'obiettivo è Carmine D'Onofrio, incensurato di 23 anni. Lo aspettano davanti all'abitazione, lo osservano mentre fa scendere la fidanzata, incinta di otto mesi, e parcheggia la Fiat Panda nera rasente il muro, proprio accanto al portone di casa. Quando scende anche lui, gli spari. Sette colpi calibro 45.
Il ragazzo non è ritenuto inquadrato nei clan della zona ma è il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, fratello dell'ergastolano Antonio e nipote della madre di lui, Teresa De Luca Bossa, la prima donna condannata al 41 bis. Il padre non lo aveva mai riconosciuto, ma tutti a Ponticelli sapevano di questa parentela. Sull'agguato gli inquirenti stanno cercando di fare chiarezza, ma l'ipotesi che maggiormente tiene banco è quella di una vendetta trasversale. Il ragazzo sarebbe stato ucciso per mandare un messaggio al clan. E sarebbe stato scelto come obiettivo perché il più esposto: a differenza degli affiliati non credeva di poter finire nel mirino, tanto da andare in giro di notte con la compagna prossima al parto.