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“Gli devono uccidere tutti e dieci i figli”, le urla contro i Di Lauro dopo il duplice omicidio di camorra

Dopo il duplice omicidio in tabaccheria a Melito una donna, nella rabbia, si lasciò sfuggire elementi preziosi: fece riferimento a “10 figli” e a via Cupa dell’Arco: indizi che portavano ai Di Lauro.
A cura di Nico Falco
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Il superboss di camorra Paolo Di Lauro, fotografia segnaletica
Il superboss di camorra Paolo Di Lauro, fotografia segnaletica

Le facce, le espressioni, le urla. Le parole dette e anche quelle non dette. Chi si sbraccia, chi invece si tiene alla larga. È da questi particolari che cominciano le indagini dopo un omicidio. Ancor prima di capire dinamica, di dare un nome alle vittime: è la scena stessa che parla, che racconta, che spiega. Che spesso dà indicazioni cruciali per risolvere il caso.

Lo sanno bene i criminali, che dopo un agguato di camorra possono "studiare" i presenti per distinguere alleati e nemici. E lo sanno bene, ovviamente, anche gli investigatori, che quando la puzza di polvere da sparo ancora brucia le narici sono pronti a captare qualsiasi bisbiglio rivelatore, informazioni che schizzano dalle bocche per la rabbia e il dolore ma che non verranno mai affidate a un verbale.

Agguato in tabaccheria, arrestati Ciro Di Lauro e 3 affiliati

Melito di Napoli, area nord, 21 novembre 2004. In una tabaccheria di via Salvatore Di Giacomo sono stati appena uccisi Domenico Riccio, il titolare, e un suo parente, Salvatore Gagliardi. Il primo è dietro il bancone, con le spalle appoggiate alla mensola, gli hanno sparato; l'altro è a terra, anche lui colpito da diversi proiettili.

La dinamica è quella di un agguato di camorra: un commando ha fatto irruzione e ha aperto il fuoco, trucidando entrambi. Il periodo è quello della Faida di Scampia, che vede contrapposti il clan Di Lauro al cartello degli Scissionisti, formato dagli ex sodali: gli Abbinante, gli Amato-Pagano, gli Abete-Notturno, i Marino.

Il tabaccaio è ritenuto legato a Raffaele Abbinante, per gli inquirenti è un suo prestanome, coinvolto anche nel riciclaggio. Le indagini vanno subito in quella direzione: potrebbe trattarsi di uno degli agguati delle "squadrette" dei Di Lauro, che in quel periodo, così come gli avversari, hanno avviato tra Scampia e Secondigliano una caccia all'uomo per uccidere nemici e i loro parenti.

Intuizione poi confermata dalle indagini: ieri è stata eseguita l'ordinanza per Ciro Di Lauro, figlio del superboss Paolo Di Lauro, che all'epoca guidava il clan in un triumvirato coi fratelli Cosimo e Marco; in manette altri tre affiliati, tra cui gli esecutori e l'altro organizzatore. Ma c'è un particolare, captato dopo l'omicidio, che portò dritto ai Di Lauro.

Duplice omicidio a Melito, una donna: "Gli devono uccidere tutti e dieci i figli"

Tra le persone quel giorno di novembre 2004 accorrono davanti alla tabaccheria c'è una parente delle vittime. Vede i corpi a terra e si lascia sfuggire quello che per i carabinieri di Melito sarà un indizio fondamentale: "Gli devono uccidere tutti e dieci i figli. Quelli dell'Arco che vanno in giro con le Cbr".

Dieci figli. Un riferimento chiarissimo: era infatti già noto che Paolo Di Lauro, il padrino conosciuto anche come Ciruzzo il Milionario, aveva una prole molto numerosa: 11 figli, di cui 10 maschi e una ragazza adottata. A quell'epoca uno di loro era però già deceduto: Domenico, il settimo, era morto in un incidente stradale quando aveva 17 anni.

E gli investigatori avevano notato anche il secondo riferimento, altrettanto significativo. "Quelli dell'Arco, che vanno in giro con le Cbr": un altro riferimento chiarissimo alla roccaforte del clan, in via Cupa dell'Arco, a Secondigliano, e all'abitudine dei rampolli di scorrazzare per il quartiere su moto di grossa cilindrata.

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