Il dolore di un genitore per la perdita di un figlio è senza nome. Questo è un fatto. E non è in discussione. L'esposizione a mezzo stampa su temi di interesse pubblico e politico è invece soggetta a regole. C'è un principio di azione e reazione: se affermi una cosa potresti ricevere una risposta non necessariamente in linea con le tue idee. Poi c'è il principio di verità: se dici devi contestualizzare. Altrimenti è un attacco, non è una affermazione.
Abbiamo tre ragazzi. Di due si parla, su uno c'è l'oblìo. Giovan Battista Cutolo, napoletano, musicista di grandi speranze, studente di corno al Conservatorio di Napoli, ucciso a 24 anni, ricordato nella prima serata del Festival di Sanremo. Il suo assassino, che di anni ne ha 17. Poi c'è Emanuele Palumbo in arte Geolier, anni 23, rapper idolo dei ragazzi, che al Festival di Sanremo è stato protagonista più della vincitrice stessa.
Ebbene: sono tutti e tre figli della stessa città. La stessa meravigliosa, contraddittoria, incredibile, maledetta città. È un fatto. Nemmeno questo è in discussione.
Giovan Battista è morto per un gesto infame e feroce. Possiamo solo piangerlo, ricordarlo, batterci affinché mai più accada. Il suo assassino è sotto processo come la legge vuole e il suo destino lo deciderà l'iter giudiziario, la legge, il carcere. E Dio, per chi ci crede.
Geolier invece è un cantante che è appena stato al principale festival canoro italiano, fa numeri da popstar americana, ha iniziato a rappare a 13 (tredici!) anni, è figlio di una periferia degradata. Allo stato nessuno si può permettere di contestarlo se non per i video delle sue canzoni , la musica e i testi dei suoi pezzi. Anche questo è un fatto.
I genitori di Giovan Battista Cutolo, Daniela Di Maggio e Franco Cutolo hanno contestato il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi per aver consegnato una targa all'artista reduce da Sanremo. Entrambi fanno riferimento a video musicali e a testi di quando Geolier aveva 17 e 18 anni. Pezzi che, sintetizzando, lo renderebbero «impresentabile».
Io lascerei lo stupore sui testi dei rapper a quella finta borghesia napoletana (altro che aristocrazia!) pronta a fare analisi semantica guardandosi l'ombelico ma a non dire una parola su quella camorra che non sta nei vasci ma negli attici, che si infiltra e lava i denari così velocemente che nemmeno una tintoria.
Scrive il padre di Giovan Battista Cutolo su Facebook (da qualche ora i suoi ultimi commenti non sono più visibili): «Il sindaco gli potrebbe regalare un corso serale di scuola primaria, ho vergogna di come parla il cuozzo (incolto, cafone ndr.) nazionale». Se si riferisce a Geolier, è chiaro che il ragazzo delle palazzine non è colto, non sa parlare. Ma sa farsi ascoltare, evidentemente. Molto più di tanti altri artisti.
Dice la mamma di Giovan Battista Cutolo al Corriere del Mezzogiorno: «Premiare solo chi nel passato imbracciava il kalashnikov d'oro, cioè Geolier, è sbagliato. Escludere una vittima, GiòGiò, è incoerente, sbagliato».
Ma escludere da cosa? Non sarebbe stato un segnale orribile dare una targa contemporaneamente ad un rapper e ad un ragazzo deceduto? Alla memoria di Giò Gio, ce lo dice il Comune di Napoli, sarà apposta una targa, non da mettere in bacheca ma pubblica, che lo ricorderà lì dove è ucciso. Per quel che servono le targhe…
Nemmeno a me piace il video di "Narcos", girato quando Geolier aveva 18 anni e non mi piacciono nemmeno alcuni contenuti dei suoi testi. Il passato non si può cambiare. Però il ragazzo oggi premiato al Comune di Napoli è un ragazzo che è appena stato acclamato con centinaia di migliaia di voti da tutt'Italia al Festival di Sanremo. Non un delinquente.
I figli di Napoli non sono tutti uguali, né nei modi, né nella storia né nelle opportunità. Chi uccide, rapina, picchia, truffa, deve andare in carcere. Ma mi dite cosa c'entra Emanuele Geolier, anni 23, in questa polemica?
Incredibile: attaccato a Sanremo perché napoletano, torna a casa e viene attaccato perché è napoletano. E senza essersi macchiato di mezza parola storta. Ricordo Emanuele Palumbo al funerale di Giovan Battista parlare ai ragazzi con una forza che non ha avuto nessuno.
Chi ha avuto dolori enormi – penso a Paolo Siani, Alessandra Clemente, Giovanni Durante – dopo un percorso enorme di sofferenza ha cercato di impegnarsi al massimo per come poteva per la città e non solo. È al loro percorso che bisogna guardare con profondo rispetto perché è stato ed è un percorso di pace, unione, studio, comprensione, non di rabbia.
I genitori di Giò Giò devono capire che per far passare certi messaggi bisogna "usare" come strumento la voce di chi è ascoltato.
E Geolier è ascoltato da una generazione lasciata totalmente sola. Ha detto più e più volte quale secondo lui è la strada più giusta da intraprendere… ma che deve fare, vestirsi da angioletto del presepe o da monaco penitente?