Funerali di Emanuele Tufano, l’accusa del vescovo Battaglia: “Tiriamo a campare rifugiandoci nei numeri del turismo”
Don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli ha deciso qualche giorno fa di officiare di persona il funerale di Emanuele Tufano, anni 15, ucciso in un conflitto a fuoco tra ragazzi del rione Sanità e del rione Mercato. Nella chiesa del Munacone, quella di San Vincenzo, simbolo del rione, il vescovo accusa una città ormai assuefatta: «Un copione, un canovaccio, una routine perversa: l’ennesima giovane vita. L’ennesimo funerale. Gli ennesimi appelli. L’ennesima indifferenza e impotenza. L’ennesima voglia di non parlare, di non dire nulla poiché nulla è rimasto da dire e il tempo delle parole è ormai finito. Perché non ci sono parole che possano lenire il dolore di due genitori, di una famiglia che vede spezzata la vita del proprio figlio. E come comunità, come Chiesa, siamo qui per condividere questo dolore. Siamo qui per portare insieme il peso di una sofferenza che è troppo grande per essere sopportata da soli».
Il suo discorso nell'omelia si concentra sull'età: quindici anni. E sul nome, Emanuele, derivato dall'ebraico ‛immānū'ēl "Dio con noi": «Un’età in cui si sogna, si scopre il mondo, si costruiscono speranze. Emanuele, il tuo nome porta in sé una promessa, un messaggio di speranza perché racconta la presenza di un Dio che non è lontano dagli uomini, ma accanto a loro, con loro, con noi. Ma per te, Emanuele, quel significato sembra essersi smarrito, infranto in una notte di violenza che non avrebbe mai dovuto esserci. E così, in un paradosso amaro, il significato del tuo nome sembra una promessa tradita».
"Storditi dai numeri del turismo dimentichiamo il resto"
La parte più dura di ciò che dice don Mimmo Battaglia dall'altare del rione Sanità è quella che parla della Napoli di oggi, la Napoli milionaria abbacinata dai denari del boom turistico: «Dio non viene meno alle sue promesse e non permetterà, che la nostra la vita, che la tua vita, che la vita di ciascuno dei suoi figli resti prigioniera della morte. Perché è fedele alle sue promesse e non le dimentica. Noi si invece, noi le dimentichiamo. Noi dimentichiamo con troppa facilità. Dimentichiamo il sangue che scorre, dimentichiamo il terrore negli occhi, dimentichiamo le urla delle madri, dimentichiamo i figli di questa città abbandonati a sé stessi e consegnati alle celle di un carcere o al cimitero. Noi si, noi dimentichiamo. E tiriamo a campare. Distraendoci e stordendoci. Raccontando di una città che esiste solo in parte, rifugiandoci nei numeri del turismo, nei protocolli avviati, distogliendo lo sguardo da questa follia di un mondo adulto che non vede più i suoi figli più giovani e più fragili. Fratelli e sorelle, basta con le promesse tradite».
"Ragazzi, deponete le armi, disarmate i cuori e le mani"
E infine, l'appello a chi resta. Ai ragazzi del rione Sanità e non solo. Ai guaglioni di Napoli: «E voi, amici di Emanuele, compagni di scuola, ragazzi tutti che oggi piangete un vostro coetaneo, ragazzi e giovani di Napoli, io sono qui per tutti voi. A voi dico, supplicandovi come un padre che non sa più che fare oltre ad appellarsi a tutti coloro che possono aiutarlo nel costruire per voi un presente e un futuro migliore: scegliete la vita, disprezzate la violenza, prendete le distanze dai modelli criminali che vi vengono proposti, amate, servite, custodite la vita, la vostra vita, la vita degli altri, disarmate cuori e mani, disarmate parole e pensieri. Vi prego, deponete le armi, abbandonate la logica del sopruso e della prepotenza e lasciatevi raggiungere, educare ed accompagnare da chi crede ancora in voi, da chi vede nel vostro cuore un punto sacro e accessibile al bene. Perché è in gioco la vostra vita e cambiare è possibile».