Funerali di Giovanbattista Cutolo, il testo dell’omelia del vescovo don Mimmo Battaglia
Don Mimmo Battaglia, vescovo di Napoli, ha officiato la messa al funerale di Giovanbattista Cutolo, il giovane musicista ucciso da un diciassettenne a colpi di pistola dopo una discussione per futili motivi il 31 agosto. La sua omelia, toccante e molto diretta, ha acceso i cuori di molti nella chiesa del Gesù Nuovo di una Napoli a testa china e listata a lutto.
Ecco il testo integrale dell'intervento dell'arcivescovo metropolita di Napoli, da poco meno di tre anni a capo della diocesi partenopea, alle esequie di "Giò Giò".
Fratelli e sorelle,
non vorrei essere qui oggi. Non vorrei essere qui ad accompagnare l’ennesimo giovane figlio di Napoli, ucciso senza alcun motivo dalla mano di un altro figlio di questa città. Non vorrei essere qui non perché voglia sottrarmi al dolore immenso dei genitori di Giovanbattista e di tutti coloro – parenti, amici, compagni – che lo piangono con il cuore spezzato e straziato dall’angoscia, dall’incredulità, dallo smarrimento.
Non vorrei essere qui perché semplicemente avrei voluto che non ce ne fosse il motivo, e più che parlare di Giovanbattista avrei voluto parlare con Giovanbattista, più che sentir parlare di lui, della sua bravura, della sua arte e voglia di vivere, avrei voluto toccarla con mano, magari ascoltando un concerto della sua orchestra o una delle sue magnifiche composizioni, come quella che il suo papà mi ha fatto ascoltare qualche giorno fa.
Ma, purtroppo, nessuno di noi ha il potere di cambiare la realtà, nessuno di noi può far tornare indietro le lancette della storia e del tempo, fermando quella mano giovanissima ma già deviata, come purtroppo tante volte accade con i ragazzi di questa città.
Nessuno di noi può cancellare quanto accaduto e dinanzi alla morte di questo nostro figlio non abbiamo altre parole in cui confidare se non quelle del Vangelo di Cristo, le cui pagine anche oggi annunciano a tutti noi una notizia inaudita: la notizia della Resurrezione!
Si, sorelle e fratelli, oggi l’unica parola che pur lasciandoci il dolore può strapparci dal petto la disperazione è la parola della Resurrezione, la certezza che questo nostro figlio, fratello, amico nel momento stesso in cui ha chiuso gli occhi alla luce di questa terra li ha riaperti alla luce di Dio, incrociando il suo volto materno, la sua tenerezza senza fine. Quel Dio che dice la parola vita dove noi urliamo la parola morte, quel Dio che afferma la speranza quando noi siamo immersi nella disperazione, quel Dio che restituisce il senso e ricuce significati quando noi, con i nostri gesti folli e senza amore, gettiamo via ogni senso e oscuriamo ogni significato possibile.
Si, oggi, in questa chiesa in cui l’assurdo viene toccato con mano, il Signore parla al nostro dolore, parla al dolore abissale di una madre che ha visto suo figlio non far ritorno a casa, parla al dolore folle di un padre che ha visto infrangersi per il proprio figlio i sogni di bene e di bellezza, parla al dolore dei familiari, degli amici, dei compagni attoniti, storditi, increduli dinanzi a questa bara, dinanzi a questa fine.
Ma questa fine – ci dice il Vangelo – è per Giogiò un inizio, una nascita, la sua nascita al cielo, alla vita eterna, una vita non diversa ma altra, una vita non sporcata dal terribile peccato della violenza e dell’egoismo, una vita interamente immersa nell’amore.
Ed è nell’amore che da oggi in poi possiamo trovare Giovanbattista, nell’amore che ci unisce a lui e tra noi, nell’amore che sapremo mettere in ogni istante del nostro cammino, qualsiasi sia la sua lunghezza. Si, perché la vita non è solo questione di tempo ma anche e soprattutto di profondità, la vita non è solo durata ma è anche e soprattutto intensità.
E dai racconti che mi sono stati fatti da chi lo ha conosciuto ho potuto percepire che questo nostro giovane figlio e fratello ha vissuto la sua vita intensamente, pienamente, attratto dall’arte, dalla bellezza, dall’amore, da quella fonte di ogni amore e di ogni bellezza che è Dio.
Un Dio che per lui è stato un punto di riferimento costante, che ha frequentato come si frequenta un amico, con discrezione, nella ferialità fedele dei giorni. Un Dio che incontrava ogni giorno nell’arte, negli amici e nel silenzio di questa chiesa, a lui tanto cara, chiesa in cui ha mosso i primi passi del suo percorso di fede, accompagnato da padre Vincenzo Pirro, guida che certamente lo ha atteso nel cielo, per riabbracciarlo.
Si, Giovanbattista era un discepolo del Vangelo, un amico del Maestro di Nazareth e per questo sono certo che oggi il Signore stesso ripete a noi le parole che l’angelo rivolse alle donne la mattina di Pasqua: “perché cercate tra i morti colui che è vivo, non è qui, è risorto”!
Sorelle e fratelli, oggi il Signore desidera afferrare il nostro dolore e immergerlo nella fiducia e nella speranza della Resurrezione.
Oggi il Signore dice ai genitori di questo nostro figlio, ai suoi amici, ai suoi compagni di orchestra, ai giovani e ai ragazzi di Napoli, a tutti noi: il mio amico, compagno e fratello Giogiò non è morto, è risorto con me, ed è accanto a tutti voi! Oggi l’amore che vi unisce non è spezzato ma trasformato, oggi la melodia della sua vita non la potrete più ascoltare nei concerti, è vero, ma potrete udirla nel silenzio del vostro cuore, nei gesti di tenerezza, nella discrezione segreta della preghiera, nella forza silenziosa e mite dell’amore concreto, vissuto, donato e condiviso.
Oggi il Signore ci chiede di non farci afferrare dalla rassegnazione e dalla disperazione e Giovanbattista, ora tra le sue braccia, ci invita a non tirare i remi in barca e questo invito lo rivolge soprattutto a voi cari giovani, cari musicisti, cari suoi coetanei: amate, amate sempre e fino in fondo, anche per lui, anche nel suo nome e costruite una società più giusta, più mite, più sicura, dove quello che è accaduto a lui non abbia più a ripetersi.
Carissimi giovani, la vostra presenza in questa chiesa dimostra due cose: quanto Giogiò è amato e quanto è grande il dolore che un gesto violento e criminale ha provocato in tutti voi. Dal vostro sguardo addolorato sembra emergere una domanda, rivolta a noi adulti, gridata al cielo: perché è successo? Com’è potuto accadere che un giovane pacifico e onesto come Giovanbattista morisse in questo modo? Come Vescovo vorrei darvi una risposta ma devo essere onesto nel dirvi che non ce l’ho, che non so il perché si muoia in un modo così assurdo, senza motivo. Però mi sento di condividere con voi la certezza che in questa assurdità possiamo rintracciare un senso perché sono convinto che il senso della morte, come quello della vita, dell’amicizia, della giustizia, e quello supremo di Dio non sta mai in fondo ai nostri ragionamenti, ma sempre e soltanto in fondo al nostro impegno.
E per questo insieme a Giogiò vi dico: impegnatevi, Napoli, ha bisogno di giustizia, di pace, di vita, di speranza, ha bisogno di voi! I sogni, i desideri, le speranze di Giogiò da oggi camminano sulle vostre gambe! Le sue note, la sua melodia e la sua musica da oggi devono vibrare ancor di più sulle corde e nell’aria dei vostri strumenti! I suoi occhi, il suo nome, il suo volto devono essere scolpiti e custoditi nel cuore e nella mente di tutti noi adulti, come monito, richiamo, tormento affinché il male non continui a ripetersi, affinché un freno venga messo alla violenza e al terrore!
Si, il pianto dei giovani amici di Giovanbattista aiuti questa città, questa comunità, a mettere da parte distrazioni e banalità, diffidenza e rassegnazione, ad essere madre che partorisce, che dona vita ai suoi figli. Le lacrime della sua famiglia e di chi lo ha amato ci aiutino a pulire i nostri occhi offuscati e vedere che il bene è superiore al male, che la parte sana della nostra città è di gran lunga più ampia di quella malata. E che proprio per questo è arrivato il momento che si faccia sentire e vedere! Ancora troppi sono i silenzi che fanno male!
Amati giovani, sia chiaro a tutti che dinanzi alla bara di questo nostro giovane amico nessun adulto di questa città può dirsi assolto!
Giovanbattista, figlio e fratello mio, accetta la mia richiesta di perdono! Perché sono colpevole anche io!
Fin dal primo giorno dell’arrivo in questa città mi sono reso conto dell’emergenza educativa e sociale che la abitava e ho cercato di adoperarmi con tutto me stesso, di appellarmi alle istituzioni locali e nazionali, alla buona volontà di tutti ma evidentemente non è bastato, forse avrei dovuto non solo appellarmi ma gridare fino a quando le promesse non si fossero trasformate in progetti e le parole e i proclami in azioni concrete! Perdonami se non ho gridato abbastanza, perdona me e la mia Chiesa se quello che facciamo, pur essendo tanto, è ancora poco, troppo poco.
Giovanbattista, figlio di Napoli, accetta la richiesta di perdono della tua città! Accetta le scuse – forse ancora troppo poche – di coloro che si girano ogni giorno dall’altra parte, che pur occupando incarichi di responsabilità hanno tardato e tardano a mettere in campo le azioni necessarie per una città più sicura, in cui tanti giovani, troppi giovani perdono la vita per mano di loro coetanei!
Perdona, figlio nostro, tutti gli adulti di Napoli, coloro che dimenticano che i bambini, gli adolescenti, i giovani sono figli di tutti e tutti devono prendersene cura, facendo la propria parte, alzando la propria voce, mettendoci la propria faccia e condividendo la propria vita dinanzi a una deriva fatta di egoismo e di indifferenza, di individualismo e narcisismo, secondo cui è importante ritagliarsi il proprio posto al sole senza curarsi invece di chi cresce e vive nell’ombra del malaffare, del disagio, della criminalità!
Perdonaci tutti Giogiò, perché quella mano l’abbiamo armata anche noi, con i nostri ritardi, con le promesse non mantenute, con i proclami, i post, i comunicati a cui non sono seguiti azioni, con la nostra incapacità di comprendere i problemi endemici di questa città che abitata anche da adolescenti – poco più che bambini – camminano armati, come in una città in guerra.
Perdona i nostri individualismi, i nostri protagonismi sterili, le nostre visioni parziali, la nostra incapacità di fare rete, di superare l’idolatria dell’io per creare il “noi”, opponendo un sistema di vita al sistema di morte di cui anche tu sei stato vittima innocente!
E, prima di salutarti, perdona la mia insistenza nel rivolgermi a te. Vedi, lo faccio al presente, e ti parlo non come “se fossi qui” ma dal vivo, con un tono di amicizia, perché tu, giovane amico, sei qui, presente nel mistero stupendo della Resurrezione, grazie allo Spirito di Dio che non consente alla morte di avere l’ultima parola, che trasforma i legami e gli amori, rendendoli eterni e vivi!
Ed è per questo che ti chiedo, caro Giogiò, di essere vicino alla tua mamma Daniela, di accarezzarla ogni giorno sussurrandole nel cuore parole di speranza, di suonare per lei la melodia della vita che non muore, donandole la certezza che tu le sei accanto e che ora sarai tu a custodirla e tenerla per mano, allo stesso modo di come lei faceva con te quando eri piccolissimo.
Accompagna con il tuo amore la vita del tuo papà Franco, strappagli dal petto la disperazione e componi per lui versi di eternità, cosicché possa essere consapevole che la tua vita non è terminata nel nulla ma continua in modo reale, vero, così vero che sarai capace di prendere anche lui per mano, facendolo sentire avvolto dal tuo amore.
E con il tuo amore avvolgi anche tua sorella Ludovica, la cui serenità e i cui sogni sono stati infranti nel buio di una notte. Stalle accanto, donale speranza, prendi anche lei per mano e falle sentire che sempre suo fratello le è vicino e che mai l’abbandonerà!
Con il tuo amore, Giogiò, avvolgi i tuoi amici, la tua orchestra, gli amici del conservatorio: strappa dai loro cuori il velo della paura e della disperazione, dona loro la consapevolezza che occorre più che mai in questo momento un sussulto di amore e di speranza, di vita e di bellezza, per arginare quel male che ti ha buttato a terra ma che non ha avuto e mai avrà la meglio! Soprattutto se con te, che dal cielo ci darai la forza necessaria, sapremo riprendere il cammino più uniti, camminando insieme, sul serio e fino in fondo.
E in ultimo, fratello e figlio mio, prega per questa tua città ferita, per questa nostra amata Napoli che come una madre negligente non ha saputo custodirti e difenderti. Prega per lei e rendi inquiete le notti di chi, anche come me, in vari ambiti, livelli e ruoli, occupa posti di responsabilità: che la tua dolce musica divenga per tutti noi uno squillo potente capace di destare i nostri cuori assopiti e di restituirci al nostro compito più urgente: disarmare Napoli, educare Napoli, amare Napoli!
Si, amare Napoli! Volere il bene di Napoli, realizzare il sogno di Dio per questa città! Donare il proprio tempo, condividere cuore ed energie, passione ed entusiasmo affinché le pistole si trasformino in posti di lavoro, i coltelli in luoghi educativi, i pugni in mani tese, gli insulti in melodie, concerti, arte, vita!
Fratelli, sorelle, giovani, questo può avvenire! Grazie al nostro impegno, grazie alla nostra fiducia nel Vangelo e nei tanti come Giogió, che affidandosi al suo messaggio di liberazione e di speranza, hanno seminato bellezza!
Per questo se qualcuno un tempo ha detto “fuggite”, e qualcun altro oggi dice “scappate”, io vi dico: restate! Restate! E operate una rivoluzione di giustizia e di onestà! Restate e seminate tra le pietre aride dell’egoismo e della malavita il seme della solidarietà, il fiore della fraternità, la quercia della giustizia!
Io sono certo che questo non è un sogno o l’invito utopistico di un vescovo: questo è e sarà grazie a noi, grazie a Giogio, grazie ai giovani onesti e sani di questa città il futuro che il Signore sta preparando per Napoli! Un futuro in cui nessuno sarà lasciato indietro, in cui ogni figlio di Napoli sarà figlio di tutti e per tutti sorgerà un sole nuovo, un’alba nuova, una nuova primavera di Speranza!
Ciao Giogiò: non so come, non so quando, non so dove: ma so che noi ci incontreremo, ci vedremo, ci abbracceremo… perché l’amore è più forte della morte. E chi ama non muore.
Grazie della tua vita e pace a te. Ciao Giogiò.
Amen