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Frana a Casamicciola (Ischia)

Frana di Ischia, il geologo: “Se una zona non si può più sanare non c’è scelta, bisogna spostarsi”

Il geologo Antonello Fiore a Fanpage.it: “In Italia manca politica di mitigazione per i cambiamenti climatici. Ove impossibile intervenire serve delocalizzare”.
Intervista a Antonello Fiore
Presidente nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale
A cura di Nico Falco
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Studiare il territorio, monitorarlo per poter intervenire in tempo e, se necessario, avere anche il coraggio di delocalizzare. Nelle ore concitate della frana di Casamicciola la priorità è l'intervento immediato, salvare i superstiti, ma la domanda che ritorna è sempre la stessa: si poteva, in qualche modo, evitare la tragedia?

A Fanpage.it Antonello Fiore, presidente nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale, sottolinea un aspetto fondamentale: l'Italia non ha ancora un piano di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

Presidente Fiore, cosa è mancato nella gestione delle criticità ad Ischia?

La situazione odierna di Ischia è molto complessa. Per adesso la Protezione Civile sta dicendo ai cittadini di restare in casa, e questo va benissimo per alluvioni, per colate di fango. Però una parte di questo dissesto oggi ha interessato anche delle abitazioni: gli edifici sono in totale sicurezza? É chiaro che la Protezione Civile ha un quadro degli scenari, ma allo stesso tempo vediamo che ogni volta si interviene in emergenza, che rincorriamo questi eventi.

Ho sentito tutti gli schieramenti politici esprimere solidarietà ai cittadini e alle istituzioni locali, ma queste catastrofi evidenziano sempre questo pregio e difetto nazionale: se da un lato abbiamo la migliore Protezione Civile anche a livello internazionale, dall'altro abbiamo una carenza di attività di previsione, prevenzione, monitoraggio e manutenzione. Bisogna intervenire con opere strutturali per mitigare gli effetti del dissesto geo-idrologico dove non è possibile avere coraggio di delocalizzare: non tutto è sanabile; spostare aree urbanizzate o industriali.

L'Italia come si sta muovendo in questo senso?

Sulla politica di mitigazione siamo fermi. Un piano nazionale è stato avviato nel 2016 e presentato nel 2018 ma non è stato ancora approvato. A quello avrebbero dovuto seguire i vari piani locali. Oggi l'interesse sembra monopolizzato dalle grandi opere, quelle che ci daranno prestigio internazionale, ma resta l'enorme problema di messa in sicurezza e delle infrastrutture.

Ad Ischia già ci sono stati episodi di questo tipo, come si è proceduto?

C'è uno studio di Antonio Santo del 2012 che in quell'area, tra Casamicciola e Lacco Ameno, individua 15 episodi di crolli storici, l'ultimo nel 2009 con una vittima e 20 feriti. Quel territorio è predisposto di sua natura. Se a questo vado ad aggiungere gli effetti del cambiamento climatico è chiaro che abbiamo una situazione che va tenuta sotto controllo e soprattutto gestita.

É vero che esiste una questione di consumo di suolo, di pianificazione mancata, e che ulteriori problemi potrebbero essere connessi all'abusivismo edilizio. Ma abbiamo anche la necessità di rivedere la pianificazione in base ai mutamenti climatici in corso, alla crisi che sta facendo aumentare piogge brevi ed intense, fenomeno che, se viene associato ad aree impermeabili, crea un aumento di acque. Per Ischia abbiamo avuto il cedimento di un frontone su cui naturalmente si erano accumulati detriti, la stagione secca ha reso i terreni ancora più disgregati e le piogge hanno mobilitato tutto.

Il discorso vale anche per i centri abitati: devono essere riviste tutte le infrastrutture attuali. In molte città il sistema fognario, realizzato decenni fa, non è più idoneo. Inoltre sono aumentate le piogge brevi ed intense. Stiamo andando verso un problema di allagamento urbano, su questo non ci sono dubbi. Gli effetti del cambiamento climatico in atto, innegabili, possono diventare ancora più severi sulla base di come noi abbiamo costruito il territorio.

Lei parla di delocalizzazione. Significa sgomberare intere aree?

La priorità è mettere in salvo delle vite umane. Si deve trasmettere alla popolazione che ci sono situazioni di pericolo che possono evolvere drammaticamente e si deve ragionare sulla possibilità di creare infrastrutture che siano adatte a queste nuove esigenze o sulla effettiva impossibilità di intervenire.

Il territorio ha una sua evoluzione naturale, la cui velocità può anche cambiare in funzione dell'andamento climatico generale. Se con le nostre opere interferiamo con questa evoluzione dobbiamo poi essere in grado di saper gestirla, altrimenti verremo travolti. Davanti a scenari critici dove non è possibile intervenire abbiamo due scelte: accettare il rischio, consapevoli che potrebbe accadere una tragedia, oppure delocalizzare, spostare centri abitati o industriali.

Sarebbe una soluzione che andrebbe messa in campo nel rispetto dei diritti dei cittadini e anche tenendo conto del mancato controllo sulle costruzioni negli anni scorsi: non si può pensare di limitarsi ad abbattere tutto, dopo aver permesso di costruire centinaia di case senza autorizzazione, senza un piano di sostegno ai cittadini.

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